«Scossa di magnitudo 8.8». Ma cosa significa?

Come si misura l'intensità di un terremoto? E quali sono le altre variabili che entrano in gioco per determinarne la gravità di un evento sismico?
Magnitudo 8.8, come il terremoto che ha colpito, la scorsa notte, l'area dell'Oceano Pacifico al largo della penisola russa della Kamchatka. Un valore estremamente alto. Quindi, un terremoto di elevata potenza. Ma cosa significa, in sostanza, quella cifra. O meglio, come si misura la magnitudo?
In breve, la magnitudo è un valore di stima dell'energia liberata da un terremoto nel suo ipocentro sotto la crosta terrestre - anche detto il "fuoco", ossia il punto in cui si origina il sisma - e viene calcolato misurando l'ampiezza massima delle onde sismiche sul sismogramma. E si tratta, come nel caso di quello espresso dalla scala definita da Charles F. Richter, di un valore logaritmico. Questo significa, senza addentrarci in formule complesse, che l'incremento di un'unità di magnitudo corrisponde sul sismogramma a un aumento di 10 volte dell'ampiezza (e di 30 volte per quanto concerne invece l'energia liberata dal terremoto).
Magnitudo, ma non solo...
Ora, occorre precisare che un'elevata magnitudo non significa necessariamente che un terremoto sia più letale. Le variabili in gioco quando si tratta di letalità sono diverse. E oltre alla magnitudo, vanno considerate diverse altre variabili: la profondità a cui si colloca l'ipocentro; l'intensità; la durata delle scosse; la tipologia di terremoto, che può essere ondulatorio o sussultorio. E, ovviamente, il luogo in cui avviene.
Guardando alla storia recente, il terremoto registrato nelle scorse ore, nonostante la magnitudo estremamente elevata, non risulta (finora) aver provocato vittime. Quello dello scorso 28 marzo nel Myanmar, con una magnitudo più bassa di oltre un'unità (7.7) aveva provocato invece la morte di oltre 5400 persone. Fatta questa premessa, le probabilità che un evento sismico dall'elevata magnitudo possa tradursi in una tragedia sono, ovviamente, ben più elevate.
Senza tornare indietro oltre le soglie del 21esimo secolo, gli esempi non mancano. Il terremoto (e il conseguente maremoto) nell'Oceano Indiano nel 2004, con una magnitudo di 9.2, provocarono oltre 230mila morti in oltre una dozzina di paesi. Quello del 2011 nella regione di Tokohu, in Giappone (magnitudo 9.1), uccise quasi 20mila persone, oltre a provocare il disastro di Fukushima. L'anno prima, ad Haiti, un sisma di magnitudo 7 cancellò 160mila vite. Ma di bilanci pesantissimi se ne trovano anche a magnitudo significativamente più basse, come nel caso del terremoto che il 26 dicembre del 2003 rase al suolo la città di Bam, nel sud dell'Iran, uccidendo circa 34mila persone.