Dazi, mancano tre giorni. «Ci saranno importanti accordi»

Il segretario al Tesoro americano ottimista sui negoziati prima della deadline. Domani riunione nell'Ue
WASHINGTON - Ultime ore prima della verità sui dazi. La deadline scatterà infatti mercoledì 9 luglio alle 12:01 della costa orientale americana, ovvero le 18:01 in Svizzera. E cosa accadrà dopo al momento nessuno lo sa con certezza.
Qualche indicazione l'ha data però il segretario al Tesoro Scott Bessent: le trattative con l'Unione europea, dopo un avvio lento dei negoziati, «procedono» e - sostiene - «ci sono stati progressi. Saremo molto impegnati nelle 72 ore a venire», ha aggiunto poi sottolineando che «diversi importanti accordi» saranno annunciati nei «prossimi due giorni».
Un tono conciliante che fa il paio con le dichiarazioni diffuse a Bruxelles dalla Commissione, impregnate di cauto ottimismo. Ma non vuol dire nulla. Il terreno, si sa, è sempre più friabile a pochi passi dalla meta, specie se al di là del traguardo c'è Donald Trump.
«Siamo concentrati su 18 paesi che rappresentato il 95% del nostro deficit commerciale», ha sottolineato Bessent nel corso di un'intervista alla CNN, notando che la strategia applicata nelle trattative è quella della «massima pressione». L'UE lo sa bene. Domani è prevista la riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti - essenzialmente il direttorio dell'Unione, dove siedono gli ambasciatori dei 27 - in modo da coordinare la risposta, "deal" o "no deal".
Per ora solo il Regno Unito e il Vietnam hanno stretto un accordo con gli USA sui dazi (c'è chI l'ha definito come il primo vero risultato della Brexit, dato che altrimenti Londra sarebbe stata obbligata a trattare insieme agli altri Stati membri dell'UE). La Gran Bretagna ha strappato il 10%. Che poi è quello a cui punta Bruxelles.
Il Vietnam invece il 20%. Ovvero molto meno del 46% annunciato lo scorso aprile nel Liberation Day. «Nel complesso, consideriamo l'accordo tra Stati Uniti e Vietnam un passo positivo verso accordi bilaterali più duraturi per gli USA e verso una maggiore chiarezza per gli investitori», ha affermato Ulrike Hoffmann-Burchardi, responsabile globale delle azioni presso UBS Global Wealth Management, in una nota pubblicata la scorsa settimana.
E continuano serrate anche le trattative commerciali fra gli Stati Uniti e il Giappone: il capo negoziatore di Tokyo ha avuto almeno due telefonate con il ministro del commercio americano Howard Lutnick, di cui una di un'ora sabato. Il Sol Levante è nel mirino del tycoon da alcuni giorni con la minaccia di dazi al «30%, 35% o quanto vogliamo».
È la famosa prevedibilità che tanto piace ai mercati e che è stata invocata recentemente pure da diversi leader europei - uno su tutto il cancelliere tedesco Friedrich Merz - secondo i quali l'incertezza rischia di essere persino peggiore dei dazi (purché contenuti sotto una certa soglia). Trump lo ha capito è infatti usa una tecnica mista, bastone e carota.
Le 12 lettere ad altrettanti paesi con dentro la cifra da pagare - secondo il tycoon saranno sulla falsa riga del «congratulazioni, pagherai il 25%», in pieno stile del suo reality "The Apprentice" - dovrebbero partire domani e, se non ci sarà accordo, i dazi torneranno al livello del 2 aprile e scatteranno dal 1° agosto. La missione dunque è contenere i danni.
Il resto del mondo osserva, non necessariamente in silenzio. I paesi del Brics, ad esempio, esprimono «serie preoccupazioni» per l'escalation del protezionismo e delle misure commerciali unilaterali. Il mondo e le Borse restano alla finestra, ormai consapevoli che l'ordine basato sulle regole va a farsi benedire se le regole le decide il più forte.