Gaza, assalto finale. Trecentomila in marcia in mezzo al niente


Israele ammassa centinaia di carri armati al confine nord e si prepara a invadere Gaza City. Palestinesi in fuga nell'unica via, messa tra le macerie e il mare, che porta a sud.
Israele ammassa centinaia di carri armati al confine nord e si prepara a invadere Gaza City. Palestinesi in fuga nell'unica via, messa tra le macerie e il mare, che porta a sud.
TEL AVIV/GAZA - Da una parte i carri armati, a centinaia, affiancati da mezzi corazzati e decine di bulldozer. Dall'altra, sull'unica via che porta a sud messa tra le macerie e il mare, l'esodo di 300mila disperati in fuga dalla pioggia di fuoco che l'esercito israeliano si appresta a fare cadere su Gaza City, in quello che Netanyahu & company hanno definito "l'assalto finale".
Ne ha parlato anche con il Segretario di Stato Usa Marco Rubio, dopo essersi presentato con lui davanti al Muro del Pianto: i due hanno sostato spalla a spalla in raccoglimento e inserito le preghiere scritte nelle feritoie dei resti del tempio. Chissà, si sono chiesti in molti, cosa avrà raccomandato a Dio l'uomo che la Corte penale internazionale ricerca per i crimini di guerra commessi nel mattatoio di Gaza e per essere ritenuto responsabili della morte di decine di migliaia di persone.
L'ultimo atto, l'ingresso dei tank nella città fantasma dove - notizia fresca di questa mattina - il suprematista messianico di ultradestra Itamar Ben-Gvir ha anche intenzione di fare costruire «un quartiere lussuoso con vista mare per i poliziotti», per alcuni funzionari militari israeliani - fra cui lo stesso Capo di Stato maggiore Eyal Zamir - potrebbe non portare «alla sconfitta di Hamas» e quindi non rappresentare la chiusura del cerchio.
«Hamas non sarà sconfitto militarmente e politicamente nemmeno dopo l'operazione per conquistare Gaza City» ha ripetuto poco prima che l'emissario di Trump venuto da Washington si facesse insistente all'uscita di un altro colloquio privato avuto con Netanayhu per dire che «l'America fornirà un sostegno incrollabile a Israele» per continuare sulla strada maestra dell'occupazione totale di Gaza. E aggiungendo comunque che «il popolo di Gaza merita un futuro migliore» ma che «quel futuro migliore non può iniziare finché Hamas non sarà eliminato come gruppo armato».
Hamas attorno ai cui leader si mormora (ma è più di una voce di corridoio) si starebbero intensificando le grandi manovre diplomatiche - che vedrebbero coinvolti proprio gli Stati Uniti, assieme a Israele e Iran - per mettere a punto un piano di esilio che li assicurerebbe confinati a vita fra le dune del deserto tunisino; un po' come quello che accadde ad Arafat e ai massimi dirigenti dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (l'Olp) dopo l'invasione israeliana del Libano.
L'ipotesi Tunisi, che assicurerebbe un salvacondotto ai terroristi che si trovano oggi a capo dell'organizzazione islamista e che il Segretario di Stato americano dichiara invece di volere vedere morti, è stata riferita all'emittente i24News dall'analista Matthias Inbar. Se quanto rivelato trovasse conferma, avallerebbe le tesi di alcuni autorevoli commentatori che nei giorni scorsi, a proposito dell'attacco israeliano a Doha, parlavano del tentativo del governo israeliano di eliminare l'ala dura del gruppo, contraria a un accordo di pace. La stessa ala dura che starebbe dando indicazioni ai suoi miliziani sul campo di fare uscire dai tunnel alcuni ostaggi per condurli sul teatro di guerra (sottoponendoli al rischio di finire sotto il fuoco amico) per tentare di fermare l'imminente offensiva israeliana.
Il lasciapassare per la Tunisia, dunque, Israele lo riserverebbe solo a coloro che deporrebbero le armi e accettassero le condizioni che il governo di Netanyahu pone per porre fine agli attacchi.
Attacchi che - in attesa che scatti l'ora "X" dell'invasione di Gaza City, dove 800 mila persone sono però intenzionate a non andarsene - continuano a mietere vittime civili: dall'alba di oggi almeno 25 persone sono rimaste uccise, fra cui diversi bambini che si trovavano all'interno di una tenda in un accampamento colpito dalle bombe dell'Idf.
Tutto questo mentre la Lega Araba - riunita a Doha - in un documento diffuso ai media fa sapere che le pratiche di Israele «minacciano» gli accordi di Abramo.
«Il proseguimento delle pratiche aggressive di Israele, in particolare i crimini di genocidio, la pulizia etnica, l'assedio che provoca carestia, così come le attività di colonizzazione ed espansione, minano le prospettive di pace e coesistenza pacifica nella regione» si legge. Poi l'appello alla comunità internazionale affinché cessi «di applicare due pesi e due misure» e punisca Israele «per tutti i crimini che ha commesso», compresi quelli in violazione del diritto internazionale, proprio come l'attacco all'emirato avvenuto nei giorni scorsi.
In attesa che la comunità internazionale si pronunci, arriva la risposta di Bibi: «Colpiremo i terroristi ovunque si trovino».