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SAVOSA

Van De Sfroos: «Io, cantautore di lago, pesco le storie dei vecchi saggi dei bar»

Il cantautore comasco torna il 13 settembre in concerto a Tesserete: «La scaletta è quella di "Van De Best", che mette d'accordo tutti quanti, come è accaduto ai 10mila di Assago».
Foto TiPress
Van De Sfroos: «Io, cantautore di lago, pesco le storie dei vecchi saggi dei bar»
Il cantautore comasco torna il 13 settembre in concerto a Tesserete: «La scaletta è quella di "Van De Best", che mette d'accordo tutti quanti, come è accaduto ai 10mila di Assago».

SAVOSA - Van De Sfroos, dieci anni fa passeggiando sulle rive del lago a Lenno lei mi parlava di arroganza urbanistica, ecomostri e potenza della natura che si difende. Da allora ne sono accadute di cose: il clima, dicono, ha fatto in tempo a impazzire e il rispetto per l'ambiente spesso non si concilia con le mire affaristiche dell'uomo. È ancora dell'idea che il pianeta saprà reggere l'urto?
«È vero sa? Lì quando dicevo quelle cose mi ricordo che parlavo di avere cinquant'anni. Oggi che ne ho 60 mi ritrovo dentro a un tempo dove capita di tutto. Ma comunque sia, tutto si trasforma e credo sempre nella forza della natura, che lotta contro i soprusi dell'uomo».

Sono cambiati anche i nomi dei Comuni: il borgo stesso dove lei vive è finito sotto un'altra denominazione amministrativa.
«Adesso si chiama Tremezzina, perché con l'unione dei Comuni siamo Tremezzina, un'unione di più paesi che è tornata a essere com'era in un periodo più o meno prima della guerra, nel '38, quando è nata mia mamma che era appunto di Tremezzina. Io abito ad Azzano di Mezzegra, un paesino di 1000 abitanti».

Dove immagino non cambiano mai, a differenza delle modifiche apportate dagli atti comunali, i personaggi di paese, quelli di cui lei si nutre per raccontare le sue storie in musica e con cui spesso trascorre momenti delle sue giornate.
«I personaggi di paese ci sono sempre. L'umanità è ancora in grado di sfornare sorprese, anche perché questo substrato sociale, culturale e antropologico non è così facile da polverizzare, estirpare, far scomparire».

...Tipi di paese che, infossati sulle sedie del circolo o del baretto silenzioso che si affaccia sul lago, magari guardano con fastidio l'ondata di turisti, l'overtourism, come si sente spesso pronunciare oggi, che tradotto nella lingua del bar è come dire che "la gh'è un burdel di gent". Li avrà sentiti brontolare qualche volta al tavolo della briscola o della scopa per l'invasione che minaccia le loro "riserve indiane"?
«Ci convivono e osservano queste valanghe di persone che sono incuriosite dalla bellezza di questi luoghi e che vagano alcune negli hotel più costosi, altri alla ricerca di alloggi di un certo tipo e meno cari. C'è molta confusione, a volte sembra proprio un fumetto di Laci, perché sembra proprio di vedere a tutte le ore, in tutte le situazioni, delle figure che si agitano nel giorno e nella notte, magari anche attraversando strade pericolose con bambini, carrozzine, transporter, bagagli che sembrano frigoriferi. Quante volte io stesso gli ho dato dei passaggi per portarli a destinazione perché a piedi non ci sarebbero mai arrivati. Bisogna fare anche un po' i tracker umani per questa gente. Sanno che devono raggiungere una casa in un certo punto, però non si rendono conto dov'è realmente questo punto e così ogni tanto li carico su e li conduco dove avevano intenzione di arrivare».

L'epoca di internet ha d'altronde dato la possibilità di scoprire località la cui bellezza era prima a esclusivo "uso" dei residenti.
È ovvio che un posto così bello sia meta turistica. E che dopo il Covid tutti erano terrorizzati dall'idea di rimanere completamente soli, sguarniti e senza più pubblico: oggi però la cosa è aumentata, è triplicata nel corso degli ultimi anni. Ha creato traffico, ha creato caos, ha creato prezzi altalenanti, una sorta di confusione: ma dentro la confusione puoi trovare un po' di tutto, anche l'ammirazione, anche il divertimento e cose esilaranti».

Per esempio?
«I turisti che perdono la strada e che finiscono nel pollaio, come mi raccontava uno al bar».

Il bar, vedo che torna sempre lì: offre ancora il bianco spruzzato?
Certo! Le dirò di più: lo sa che vige una specie di tacita legge fra gli avventori? Un codice di comportamento fra noi locali e in quei bar dove io incontro gli anziani. Sa, siamo appunto come gli indiani nelle riserve. Ci dobbiamo ritagliare i nostri luoghi, che non sono ovviamente proibiti ai turisti, ma sono quei posti dove io mi siedo con i vecchi "saggi" del paese e da cui imparo tante cose. Dunque, le dicevo della legge del bar: tu che sei più giovane di loro gli offri da bere, poi però loro vogliono assolutamente il giro dopo ripagare il bel gesto e quindi tu devi scegliere cosa prendere da bere. La legge del bar dice che non puoi chiedere una bevuta che sia più costosa di quella che tu hai offerto loro. Capisce?».

Certo, equità alcolica fiscale e solidale...
«Esatto. Se gli hai offerto uno spruzzatino tu non può ordinare un drink da 8 euro...non puoi metterli in difficoltà economica».

E dunque si va avanti a bianchi spruzzati da 3 euro, parlando di come era la vita un tempo, ma immagino anche di temi di attualità, che so, Putin, Trump, il macello di Gaza: che dibattito portano avanti ai tavolini i suoi amici anziani?
«Si parla di molte cose. Il passato però è fondamentale, lo dico sempre ai ragazzi. La tradizione orale! Bisogna prendere in considerazione il fatto che finite queste ultime generazioni potremmo non avere più testimoni reali delle storie. Poi magari sembriamo tutti dei cowboy un pò patetici e noiosi che continuano a ripetere oralmente le vicende di venti, trenta, cinquant'anni fa e anche più in là. Ma è un esercizio che ci interessa fare per non dimenticare e avere consapevolezza che il passato c'è stato e che non ce lo siamo inventati noi. E comunque i primi cinque minuti al tavolino del bar è inevitabile che, avendo tutti in mano un quotidiano, ognuno cala le sue carte di argomento: il Como, la guerra, qualche fatto di costume. Ma lì fra la gente anziana del bar la percezione è che la verità non la stanno conoscendo in modo reale e vedendo chi sta dando le carte al tavolo del mondo non si fidano. Gli hanno guardati negli occhi quei tipi e hanno capito che stanno barando. Ci sono gli schieramenti, ovviamente, ma trattano gli argomenti con il tipico humor tremezzino, che a volte sa essere chiaro, a volte nero. Poi se ne vanno, preferendo ritirarsi nelle loro cascine, dedicandosi ai lavori agricoli, ai loro animali e al mangiare da portargli nella stalla, al taglio dell'erba, alla sistemazione del fieno. Io li stimo molto, ho profondo rispetto per loro, profonda ammirazione. Mi metto lì e li ascolto e imparo».

Dalla sua casa vede il lago, in certe giornate sempre più affollato di barche: in questi giorni ce ne sono certe che si sono unite in una flotta e navigano verso le coste della Striscia di Gaza. Se glielo avessero chiesto, si sarebbe imbarcato?
«Ci sono persone che da sempre amano manifestare, manifestarsi. Io sono molto spaventato da questa cosa, non non tanto per le prese di posizione, ma per tutti i misunderstanding che possono crearsi, per gli adesivi che tutti ti possono appiccicare soltanto per il motivo che ti hanno visto fare o non fare una determinata cosa. Il contenuto di tutto quello che penso è messo abbondantemente nelle canzoni. E comunque le confesso che essendo io una persona emotivamente disturbata, quando sono lì che preparo un'insalata e sento che hanno ucciso 300 persone fra donne e bambini non ci dormo la notte, io sono quei morti, cioè io sono i corpi che scavalco nei miei sogni uno a uno nel giardino di casa. Tante volte ho agito nell'ombra, ridando dignità a chi l'aveva perduta. Ci sono tanti che lo fanno, come Emergency da tantissimi anni. A tutte queste persone andrebbe dato un Nobel di frodo. Ma come ripeto, il mio pensiero è dentro le canzoni».

Parliamo di quelle (che il suo pubblico conosce tutte a memoria) e dei pezzi che il pubblico ascolterà a Tesserete.
«In questo tour, per riallacciarsi anche al discorso di prima, abbiamo scelto svariate canzoni, che fanno riflettere senza fare comizi e senza sventolare latitudini. Il mio pensiero è chiaro: trovo sia incredibile che ancora oggi ci siano dei proiettili che escono da una scatola, vengono messi in un'arma e vadano in giro alla ricerca del loro bersaglio. Come trovo incredibile per esempio che uno si svegli la mattina e - che cavolo ne so - si mette in testa di andare a conquistare la Groenlandia. Comunque la scaletta del concerto di Tesserete sarà quella che abbiamo proposto davanti ai 10mila del Forum, quella del "Van De Best", che mette d'accordo tutti. La gente ha voglia anche di saltare, divertirsi».

A 60 anni quali sono gli elementi nuovi che sono entrati a far parte della sua vita, quali gli interessi di oggi che non facevano parte del Van De Sfroos di dieci anni fa?
«L'interesse per i giovani. Io ne ho 3 qui in casa. Credo che non bisogna essere dei parrucconi. E vedo quante cose riescono a buttar fuori senza neanche fartele vedere o sentire. Le scopri sempre mesi dopo. Ci sono delle genialità e bisogna saperle leggere. Qualunque sia il genere. Perchè sennò torniamo come ai tempi in cui se bisognava applaudire Luciano Tajoli e Claudio Villa, arrivava Battisti e si diceva "ma chi è sto qua con sti capelli lunghi". Punk, metal, trap che sia, in tutti i generi ci sono delle genialità e vanno riconosciute.

Siamo arrivati alla fine di questa lunga intervista: gli artisti, mutuando quello che diceva il buon Umberto Eco a proposito della lettura, godono grazie alle proprie opere di una sorta di immortalità all'indietro. Quanto teme la fuga degli anni e la legge della vita che obbliga gli uomini a un certo punto dello "spettacolo" a scendere dal palco?
«
Ho vissuto anni interi con la visione, l'ossessione e la consapevolezza assoluta di essere una foglia che poteva staccarsi in qualunque momento. Malesseri speciali, li definiva Battiato. E anni di ansia, tantissimi momenti di depressione, perché troppa emotività sfoga poi in qualche modo. So che c'è una vita, c'è una morte e il mistero che la contiene tutta. Ma temo e mi fa più paura la "non vita", quella che sta di mezzo, come diceva Papa Francesco. È quella che tu sei in giro, ma di fatto non stai vivendo con pienezza. Tu stai soffrendo, stai deambulando qua e là ma non stai né vivendo né morendo ed è quella la parte più penosa. Non ho mai pensato che la morte sia quel qualcosa che viene a cercarti a tutti i costi. È il vivere che a volte ti uccide davvero. Comunque, sapendo bene che non sono destinato a rimanere come invece accadrà per lo scolapasta di mio nonno, sì, certo, quel giorno quando sarà credo che un po' mi mancherò».

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