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LUGANO

Se la Bomba parte per “errore”

Parliamo con una delle massime esperte di scenari nucleari a livello mondiale, Annie Jacobsen, che sarà a Lugano il prossimo 21 settembre per Endorfine.
Imago/TT
Se la Bomba parte per “errore”
Parliamo con una delle massime esperte di scenari nucleari a livello mondiale, Annie Jacobsen, che sarà a Lugano il prossimo 21 settembre per Endorfine.

LUGANO - A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e la Russia si sono lanciati in una corsa agli armamenti nucleari, con periodi di rapida espansione (alternati da periodi di forte riduzione) delle proprie scorte, contribuendo così alla costituzione del principio di deterrenza, secondo cui il solo possedimento di armi atomiche diminuisce la probabilità di un conflitto su scala planetaria.

Ma è davvero così? Lo abbiamo chiesto a una delle massime esperte di scenari nucleari a livello mondiale e finalista al premio Pulitzer, Annie Jacobsen, che domenica 21 settembre sarà ospite al Palazzo dei Congressi di Lugano in occasione del Festival culturale Endorfine. 

Signora Jacobsen, cosa implica il principio di deterrenza e come mai è diventato il cardine della politica di contenimento delle armi nucleari?  
«Il principio implica il possesso di un'enorme quantità di testate nucleari con lo scopo di scoraggiare un potenziale attacco da parte del nemico. Secondo il Dipartimento della Difesa statunitense è la strategia più efficiente. Ma in molti credono che si tratti di un'arma a doppio taglio».

In che senso?
«Se cerchiamo di ragionare sull’archetipo di "arma", considerando che un tempo le persone combattevano con spade e lance, constatiamo uno spettacolare sviluppo dei sistemi di armamento. Ora, i nostri arsenali atomici contengono bombe in grado di radere al suolo intere metropoli. Queste armi sono costantemente puntate contro il "nemico" e pronte al lancio in sessanta secondi. Insomma, il principio di deterrenza è efficace soltanto fino a prova contraria».

Queste bombe non andrebbero semplicemente abolite? 
«Personalmente credo che il disarmo sia l'unica strada percorribile».

Gli Stati Uniti, come altri Paesi, dispongono di sofisticati sistemi di monitoraggio, capaci di captare il lancio di un missile intercontinentale da qualsiasi punto del globo. Sono sistemi infallibili?
«Non proprio... Negli anni Novanta, ad esempio, il segretario alla Difesa William Perry stava per annunciare al presidente degli Stati Uniti che avrebbe dovuto autorizzare un contrattacco nucleare. Ma alcuni secondi prima che alzasse la cornetta, un membro del personale scoprì che era tutta colpa di un chip difettoso installato in un computer del Pentagono».

Quali sarebbero le ripercussioni di un errore simile? Lei parla spesso di inverno nucleare...
«Oggi sappiamo esattamente cosa accadrebbe in uno scenario del genere: oltre 700 miliardi di tonnellate di cenere si alzerebbero in aria a seguito degli incendi causati dall'esplosione di migliaia di bombe atomiche. Le particelle impedirebbero ai raggi solari di raggiungere la Terra. E senza il sole, le temperature precipiterebbero fino al congelamento degli oceani e al completo collasso dei sistemi alimentari. Si passerebbe così da 700 milioni a cinque miliardi di vittime».

Chi sopravvivrebbe?
«Soltanto coloro in grado di adattarsi al nuovo mondo, che scaraventerebbe l'umanità all'età della pietra».


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