Solo un “santo” poteva salvare Trump


Parliamo della morte di Charlie Kirk con il professore di storia americana Stefano Luconi.
Parliamo della morte di Charlie Kirk con il professore di storia americana Stefano Luconi.
WASHINGTON - La morte di Charlie Kirk ha profondamente scosso gli Stati Uniti, al punto che l'amministrazione Trump ha organizzato un grande evento trasmesso in diretta televisiva per commemorare il destinatario della pallottola del presunto assassino Tyler Robinson. Ma come mai tanta esposizione mediatica? Lo abbiamo chiesto al professore di storia americana all'Università di Padova Stefano Luconi.
Ci troviamo in un momento di massima spettacolarizzazione della politica statunitense, in cui Charlie Kirk è stato letteralmente “santificato” in diretta televisiva. Quanto è genuino questo movimento e quanto, al contrario, viene utilizzato a fini politici dall'amministrazione Trump?
«L’omicidio di Kirk rappresenta un pretesto non soltanto per ricompattare il movimento MAGA, che si sta sgretolando a causa del caso Epstein, dell'occupazione che non cresce malgrado le deportazioni degli immigrati irregolari, della crescita dei prezzi al consumo nonché della palese incapacità di Trump di porre fine alla guerra in Ucraina e alla crisi a Gaza. Ricompattare il movimento MAGA è importante perché i repubblicani rischiano di perdere la maggioranza alla Camera dei rappresentanti alle elezioni di metà mandato, mettendo così a repentaglio l'attuazione dell'agenda trumpiana. La morte di Kirk serve anche a giustificare una campagna repressiva o quanto meno intimidatoria contro gli oppositori dell'attuale amministrazione, con la scusa di fermare una presunta spirale di violenza che la “sinistra radicale” avrebbe causato indirizzando le sue critiche al presidente».
Il vuoto lasciato da Kirk è stato subito colmato dal vicepresidente e braccio destro di Donald Trump, JD Vance, che ha giurato di portare avanti gli ideali incarnati dall'attivista. Una mossa in previsione delle prossime elezioni presidenziali?
«Vance è attualmente il principale referente del movimento MAGA su questioni etiche e culturali, come la lotta contro l’interruzione della gravidanza, il controllo della diffusione delle armi, i diritti delle persone LGBTQ+ nonché la denuncia della presunta “sostituzione etnica” a detrimento dei “bianchi” nell’assetto demografico della società statunitense. Diciamo che è il più accreditato per ottenere la candidatura del partito repubblicano nel 2028. Dare rilievo all’omicidio di Kirk e presentarsi come il continuatore delle sue battaglie è decisamente prodromico al lancio della sua candidatura. La recente conduzione di un episodio del podcast “Charlie Kirk Show” sarà forse retrospettivamente considerata come una sua discesa in campo nella campagna elettorale del 2028».
La presenza dei repubblicani si è fatta sempre più dirompente sui principali media statunitensi, ma dei democratici sembra essere sparita ogni traccia. Nella storia degli Stati Uniti è spesso così o assistiamo, al momento, a una situazione anomala?
«Da tempo il partito democratico è incapace di operare una scelta programmatica tra moderatismo e progressismo da sottoporre ai propri elettori, soprattutto in merito alla creazione di posti di lavoro ben retribuiti. E ciò lo ha portato a una paralisi politica che rischia di farlo precipitare nell’irrilevanza. È necessario considerare che gli Stati Uniti si trovano in una condizione di campagna elettorale permanente (lo constatava già nel 1980 il politologo Sidney Blumenthal in un saggio intitolato appunto The Permanent Campaign) in cui appena si chiudono le urne si pensa a prepararsi per le prossime elezioni. Dunque la situazione in cui versano i democratici è decisamente anomala».
Quanto influiscono i media sulla propagazione degli ideali trumpiani? È possibile dire che è stata esasperata quella tendenza scaturita con l’entrata in politica di Donald Trump e i media internazionali che riprendono i suoi tweet?
«Gli Stati Uniti sono stati investiti da una balcanizzazione della comunicazione politica: i conservatori e i reazionari attingono a Truth e a Fox News, mentre i progressisti e i moderati leggono il New York Times e seguono la CNN. Tutti credono quasi ciecamente in quello che viene detto dalle loro fonti di riferimento e contestano in modo altrettanto acritico ciò che viene diffuso dagli altri media. Anziché informarsi, molti cercano semplicemente canali che validino le proprie convinzioni preesistenti, come l’idea che i progressisti siano dei pericolosi sovversivi che intendono aprire le frontiere a orde di criminali provenienti dall’America centrale, oppure quella che Trump sia un aspirante dittatore che vuole instaurare una “democratura” alla Orban negli Stati Uniti. Dunque rilanciare questi tweet serve piuttosto a confermare ai sostenitori di Trump che il presidente è l’uomo della provvidenza e agli oppositori che è un despota liberticida che affosserà la democrazia americana».