Verso un governo filo-russo in Repubblica Ceca. L'UE è preoccupata

Andreji Babis, il «Trump ceco», è dato in vantaggio alle elezioni parlamentari. In caso di vittoria, si metterà di traverso su vari dossier, tra cui gli aiuti all'Ucraina
PRAGA - Budapest, Bratislava, Praga. Tre delle quattro capitali del gruppo Visegrad, fra una manciata di giorni, potrebbero essere segnate da governi filo-russi, anti-Ue, di forte stampo trumpiano.
A Bruxelles si guarda con allarme a quello che potrebbe accadere in Repubblica Ceca sabato: le elezioni parlamentari potrebbero incoronare Andrej Babis, imprenditore e politico navigato, assediato dai processi e, soprattutto, possibile nuovo cavallo di Troia del Cremlino in Europa. I sondaggi pre-elettorali lo hanno dato costantemente in vantaggio. Il premier attuale, il conservatore Petr Fiala, sembra destinato a fare le valigie.
Babis è stato primo ministro dal 2017 al 2021 e ha già fatto a lungo parlare di sé. Il leader del partito Ano, da esponente comunista prima della caduta del Muro si è rapidamente trasformato in un imprenditore sovente accostato ad attività di dubbia legalità e, a capo del colosso agricolo Agrofert, è finito costantemente sotto i fari della giustizia. Un tempo, i suoi detrattori lo paragonavano a Silvio Berlusconi.
Oggi il suo soprannome è «Trump ceco". La sua campagna elettorale è stata tutta incentrata contro migrazione, Green Deal e aiuti all'Ucraina. Un menù ormai noto, nella Mitteleuropa orientale, scelto con successo da Robert Fico a Bratislava e, ça va sans dire, da Viktor Orban a Budapest.
Il sistema elettorale ceco potrebbe arginare il potere di Babis. Nessun partito, salvo clamorose sorprese, può avere la maggioranza assoluta. Ma, ad affiancare Ano, potrebbero essere altri satelliti della galassia populista, come il partito dei Motociclisti per sé stessi, già entrato all'Eurocamera nel 2024.
A quel punto, per Ursula von der Leyen, Praga diventerebbe un problema. Su alcuni dossier chiave, come i prestiti di riparazione per Kiev usando gli asset russi congelati o l'apertura del cluster 1 per i negoziati di adesione dell'Ucraina, Babis si metterà di traverso.
Più in generale, una Praga a trazione sovranista allargherebbe il fronte d'attacco ad alcuni dei pilastri del programma von der Leyen a cominciare dai dossier industriali. Ma è sull'Ucraina che le preoccupazioni dell'Ue sono più alte: in queste ore - le urne chiudono alle 14 di sabato - ci si affida soprattutto agli appelli del presidente della Repubblica Petr Pavel, ex generale della Nato.
C'è un tema più profondo che porta con sé il voto nel Paese di Franz Kafka, ed è quello dell'appeal elettorale del racconto dei vertici Ue. All'Eurocamera la sua maggioranza è spaccata. La prossima settimana la presidente della Commissione dovrà affrontare due nuove mozioni di sfiducia, una della Sinistra e l'altra dei Patrioti.
Saranno entrambe bocciate ma a Palazzo Berlaymont si guarda con crescente irritazione a queste sortite, considerate alla stregua di una perdita di tempo. Nei vertici dei leader, tuttavia, non sembra andare meglio.
Il Consiglio europeo informale di Copenaghen, tutto su difesa e Ucraina, è apparso a diversi, a Bruxelles, come un'occasione mancata segnata dalle divisioni e dall'attivismo di Orban, che da qui alle elezioni di aprile sarà in costante campagna elettorale. Al summit Ue di fine ottobre servirà uno scatto, guardando anche alla costante crescita dei partiti che vedono in Bruxelles un nemico.