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I lavoratori in sciopero picchiati dai titolari dell'azienda. Benvenuti nel distretto tessile più grande d’Europa

Lavoratori in presidio di aziende legate ai grandi brand di moda sono stati picchiati dai titolari di un’azienda in Toscana. È l’ennesimo caso. I sindacati: “Situazione grave e di sfruttamento estremo”
I lavoratori in sciopero picchiati dai titolari dell'azienda. Benvenuti nel distretto tessile più grande d’Europa
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Fonte Francesco Bertolucci
I lavoratori in sciopero picchiati dai titolari dell'azienda. Benvenuti nel distretto tessile più grande d’Europa
Lavoratori in presidio di aziende legate ai grandi brand di moda sono stati picchiati dai titolari di un’azienda in Toscana. È l’ennesimo caso. I sindacati: “Situazione grave e di sfruttamento estremo”

PRATO - di Francesco Bertolucci

“La titolare della fabbrica che distrugge i gazebi del presidio sindacale e prende a pugni e calci gli operai. Poi una macchina con dentro persone arrivate per picchiare gli operai dell’Alba Srl in sciopero a difesa dei loro posti di lavoro e dei loro diritti. Un lavoratore è rimasto a terra dopo essere stato colpito più volte. L’hanno dovuto portare via in ambulanza”. A commentare e denunciare quanto accaduto e si vede in un video girato dagli stessi operai in protesta la mattina del 16 settembre nella provincia di Prato, il più grande distretto tessile-moda d’Europa con un giro economico annuo stimato di più di 8 miliardi di euro, sono Luca Toscano e Francesca Ciuffi, sindacalisti del Sudd Cobas.
Immagini crude accadute in Toscana, che riportano alla mente quanto accadeva il secolo scorso o ancor prima per mettere fine agli scioperi. In questo caso, i lavoratori stavano scioperando perché temevano la chiusura della stireria-confezione con riapertura dell’azienda senza di loro, dopo che a febbraio avevano raggiunto un accordo per la loro assunzione a tempo indeterminato. “Ma le preoccupazioni sono tornate subito – dicono dal sindacato - quando nel mese di aprile una parte delle macchine da cucire e delle commesse di cucitura è stata spostata in un nuovo stabilimento a pochi passi intestato alla stessa azienda, sempre a Montemurlo. La testimonianza che ci è arrivata dai lavoratori impiegati nell’azienda gestita da imprenditori albanesi è drammatica: reclutati anche in altre città da un caporale e costretti a turni di dodici ore al giorno oltre che a vivere in una sorta di segregazione tra la fabbrica e l’alloggio fornito dallo stesso caporale”.

Quanto accaduto sfortunatamente non è una novità per un settore che nel distretto pratese conta circa 7mila aziende che lavorano per i grandi brand della moda per poco più di 41mila addetti, un export che vale 2 miliardi e 746 milioni e un indotto che, oltre agli altri comuni della provincia, tocca anche quelli limitrofi come Agliana, Quarrata, Montale, Campi Bisenzio e Calenzano. Già il 9 ottobre del 2004 ci fu un’aggressione, questa volta a Carmignano, sempre in provincia di Prato.

“Nella notte tra l'8 e il 9 ottobre una squadraccia armata di spranghe ci aveva attaccato mentre stavamo facendo un picchetto davanti alla confezione Lin Weidong a Seano (Carmignano, ndr) – ricorda Luca Toscano – mandando 4 persone in ospedale. Mentre si dileguavano, gli aggressori, italiani, avevano urlato 'la prossima volta vi spariamo'. Se esistesse una statistica per le aggressioni a lavoratori in sciopero, Prato sarebbe in cima alla lista. Il nostro territorio è ostaggio di queste realtà”. Operai e sindacalisti all’epoca stavano protestando per la “regolarizzazione dei rapporti di lavoro” e la “riduzione a otto ore” dell'orario. A seguito dell'aggressione sono scattati controlli e perquisizioni nei confronti dell'azienda.

“Qua ci sono migliaia di lavoratori in condizioni di sfruttamento estremo – osserva Toscano – perlopiù cinesi, africani, pachistani o bangladesi. Secondo i dati dell'ispettorato, nel solo 2023 è emerso un 40 per cento di casi dove se il lavoro non era nero, era 'grigio' con paghe imbarazzanti. E lavorare 12 ore al giorno per tanti è la norma”.

Di lavoro nero e Prato, negli ultimi anni si è spesso sentito parlare. Dopo il rogo in cui morirono cinque persone di origine cinese nel dicembre 2013 all'interno di una ditta di Pronto Moda nella zona industriale del Macrolotto, emerse prepotentemente il problema delle fabbriche-dormitorio. Venne istituita una task force per cercare di arginare il fenomeno, con forze dell'ordine, azienda sanitaria locale e ispettori del lavoro. Il problema di lavoro nero e sfruttamento però è rimasto. E si ripercuote anche sulle altre aziende presenti. “La questione dell'illegalità – commenta Ingrid Grasso della Fema Cisl Prato - è problematica perché droga l'intero sistema produttivo. È una continua concorrenza sleale a chi segue le regole”.
Nel distretto pratese si lavora per tanti gruppi europei e non solo. “C'è chi produce per Louis Vuitton, Fendi, Zara, che è arrivata anche al 40 per cento della produzione, o i grandi gruppi del tessile – dichiara Juri Meneghetti, segretario della Filctem Cgil Prato – Le griffe si servono di terzisti per la stoffa. Si tratta perlopiù di medie e piccole imprese, quelle sopra i 100 dipendenti sono poche. In città non c'è un settore alternativo così grande. Se si ferma, come sta accadendo, è un problema: se oggi una persona perde il lavoro, difficilmente lo ritrova”.

A Prato e nel settore della moda, la crisi ‘morde’. In generale in Italia, stando ai dati di Confindustria, i settori di tessile, abbigliamento e pelletteria hanno visto una perdita di 10 miliardi di euro tra il 2023 e il 2024. Solo in Toscana la moda dà lavoro a più di 110mila persone. Stando ai dati forniti dall’ Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (Irpet), nel 2024 i licenziamenti per motivi economici sono aumentati del 46% rispetto al 2023. In tutto sono stati 3950 licenziamenti tra abbigliamento, pelletteria, calzature, tessile, metalli moda e concia della pelle.

Per questo motivo, Ali Hassan e Asghar Muhammad, lavoratori migranti pakistani, che lavoravano per una azienda che produceva accessori in pelle per Montblanc, marchio del gruppo Richemont, lo scorso 10 settembre sono andati a protestare davanti all’hotel Intercontinental a Ginevra, esponendo striscioni con le scritte “Made in Italy – Shame in Italy” e “Montblanc – Take Responsibility” in occasione dell’assemblea generale del brand.

Dopo anni di lavoro sottopagati “fino a 70 ore a settimana per circa 3 euro l’ora senza giorni di riposo o tutela sociale” avevano detto a più riprese i due lavoratori, insieme ad altri 11 migranti erano stati assunti con contratto regolare dall’azienda terziaria ma la Pelletteria Richemont, filiale italiana del gruppo, dopo poco ha interrotto i rapporti con la fabbrica. E i lavoratori hanno quindi perso il lavoro con gli stessi operai e Sudd Cobas che di conseguenza hanno chiesto a Richemont un impiego alternativo o un risarcimento al danno subito ricevendo come risposta una causa contro i rappresentanti del sindacato.

Durante l’assemblea generale, Public Eye, Campagna Abiti Puliti, la rete Clean Clothes Campaign e sindacati sono intervenuti per riportare il caso all’attenzione e chiedere alla direzione di Richemont di avviare un negoziato per risolverlo. Il presidente del consiglio di amministrazione, Johann Rupert, ha risposto negando tutte le accuse e qualsiasi responsabilità da parte di Richemont. “Abbiamo prove solide a sostegno di tutte le accuse – attacca Florian Blumer di Public Eye - e continueremo a chiedere a Richemont di risolvere il caso, per il bene dei lavoratori e della reputazione dell’azienda”.

“Le imprese non possono scaricare sui lavoratori la compressione dei costi per aumentare i profitti – gli fa eco Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti - Casi come quelli dei lavoratori pakistani nella filiera Montblanc a Prato mostrano che lo sfruttamento è diffuso anche nel lusso. Se le aziende non garantiscono condizioni dignitose, lo stato italiano deve intervenire applicando la direttiva europea sulla due diligence. Basta accordi volontari: servono regole vincolanti”.

Dal governo italiano, per ora tutto tace. “Si tratta di una situazione grave – conclude Toscano – che rischia di bruciare decine di posti di lavoro regolare sostituendoli con altrettanti posti di sfruttamento. Questo non avviene nelle filiere del pronto moda ‘cinese’. Ma nella filiera di noti marchi di abbigliamento, anche di alta fascia. C'è un modo di fare impresa che va sradicato da questo distretto, garantendo diritti e tutele del lavoro. È necessario che questo territorio si stringa agli operai per difendere posti di lavoro dignitosi e mettere uno stop ai subappalti senza diritti”.

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