Dopo i morti... il terremoto politico


Il primo ministro del Nepal si è dimesso, dopo le proteste scaturite dal blocco dei social media nel Paese.
Il primo ministro del Nepal si è dimesso, dopo le proteste scaturite dal blocco dei social media nel Paese.
KATHMANDU - Sui social si era fatto strada l'hashtag "Nepokid", un termine utilizzato per indicare i figli dei politici di spicco. "Nepo" inteso come nepotismo: figli del nepotismo, dunque. Ed era sbarcato anche in Nepal, dove si era accumulato il malcontento popolare, soprattutto tra i membri della generazione Z, stufi della «corruzione istituzionalizzata» che da tempo attanaglia la piccola democrazia asiatica, aveva dichiarato un manifestante al Kathmandu Post.
È questo il sunto delle rivendicazioni dei giovani nepalesi, scesi nelle strade della capitale e trucidati dalle forze dell'ordine (19 le vittime accertate e oltre 400 i feriti) per aver protestato contro la classe dirigente e il blocco delle piattaforme online instaurato la settimana scorsa.
Il divieto, giustificato dal fatto che TikTok, Facebook, Instagram e altre 23 piattaforme non si erano adeguate alle nuove regole sui social media, rappresenterebbe soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso, convincendo la generazione Z a protestare «in maniera pacifica», così aveva dichiarato un altro manifestante, prima che venissero lanciati i primi lacrimogeni sulla folla, seguiti dai cannoni ad acqua e, infine, i colpi d'arma da fuoco, quando i manifestanti hanno oltrepassato le barriere alzate di fronte alla sede del governo.
La brutalità della polizia ha esasperato la situazione. Nonostante la leadership politica abbia in queste ore fatto un passo indietro, ritirando il blocco delle piattaforme online («ora funzionano di nuovo», ha dichiarato un rappresentante), i manifestanti non sembrano affatto intenzionati a retrocedere e a lasciar cadere le proprie rivendicazioni. Questa mattina si sono radunati di fronte al parlamento nepalese in segno di sfida al coprifuoco attualmente in vigore, dando fuoco all'edificio e seminando il caos nei quartieri adiacenti.
Nel frattempo, il terremoto politico che ha investito il Paese non ha mancato di far cadere le prime teste. Ieri si sono dimessi il ministro dell'Interno e il ministro dell'agricoltura, che hanno giudicato il proprio mandato «incompatibile con quanto accaduto a Khatmandu» e ora si è dimesso anche il primo ministro Sharma Oli, sotto la costante pressione dei manifestanti, che lo accusavano di mancata assunzione delle proprie responsabilità e di aver imposto una linea «dittatoriale» al governo.