L'ultima "carta" di Hamas, l'ultimo "freno" di Netanyahu

Gli ostaggi israeliani. Ne restano una cinquantina nelle mani di Hamas, di cui solo una ventina ancora vivi. Cosa accadrebbe nel caso di una loro morte?
GAZA - «Hamas ha una sola carta: gli ostaggi. Senza ostaggi, Hamas non ha nulla». La considerazione, netta, è di Samir Ghattas, analista egiziano esperto di sicurezza che ben conosce Hamas e la situazione a Gaza. Un'ultima carta che non consentirà in ogni caso ad Hamas di ottenere più nulla nella Striscia. Perché, come ha dichiarato a NPR, «non c'è futuro a Gaza per Hamas perché la popolazione è ad Hamas che dà la colpa per quanto è accaduto».
Da quanto sappiamo, nelle mani di Hamas sono rimasti a oggi 50 dei 251 ostaggi catturati dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. E non tutti sono ancora in vita. Secondo le cifre che stanno circolando - ormai da qualche settimana - i superstiti sarebbero una ventina, per la trentina restante si parla invece solo di spoglie. Quella ventina di prigionieri è quindi, almeno virtualmente, l'unica leva negoziale rimasta ad Hamas; la sola "moneta" di scambio che le garantisce ancora un minimo di potere contrattuale al tavolo delle (molto difficili) trattative per strappare un eventuale cessate il fuoco.
L'ultima carta, senza quella...
Cosa accadrebbe quindi se anche quegli ostaggi che oggi risultano essere ancora vivi dovessero morire? In primo luogo, Israele avrebbe le mani del tutto slegate, con la conseguente possibilità di decidere ogni tipo di operazione militare e rifiutare qualsiasi proposito di tregua. È facile immaginare quindi un'ulteriore escalation promossa dal governo di Benjamin Netanyahu, che probabilmente guadagnerebbe ulteriore spinta a favore di una ritorsione anche da una parte maggiore dell'opinione pubblica israeliana.
In uno scenario di questo tipo, per Hamas nell'enclave palestinese si configurerebbe una sorta di morsa tra un'offensiva ancora più violenta di quella che ha già ridotto in macerie Gaza - uccidendo decine di migliaia di civili - e il rischio di un isolamento sempre maggiore, tanto dai suoi sostenitori a un livello internazionale (pressati a loro volta per recidere quei legami) quanto da parte di chi, in questi quasi due anni, si è prestato vestire i panni del mediatore ai tavoli negoziali. Senza infine dimenticarsi delle fratture interne all'organizzazione che potrebbero allargarsi. Perché Hamas, lo ricordiamo, è tutt'altro che un monolite.