Fare la pace, secondo Trump

Il presidente statunitense si è mostrato onnipresente negli scenari di conflitto più caldi. Ma quante guerre ha contribuito (o dice di aver contribuito) a fermare?
WASHINGTON D.C. - Vocazione? Vanità? Ossessione? Probabilmente, quando si parla di Donald Trump e di pace, le tre "pulsioni" (in dosi diverse) si intrecciano. Il presidente degli Stati Uniti ha sfoggiato in questi primi mesi di secondo mandato una destrezza tale da rasentare l'ubiquità nel mostrarsi sempre in prima fila là dove c'è un'ascia di guerra da seppellire. E lo ha fatto a modo suo: urlando, agitando la frusta e assicurandosi che, mentre lo faceva, tutti lo stessero guardando. Un "paciere" che ringhia.
Qualcuno, più simbolicamente che non, lo ha candidato al premio Nobel per la pace. Lui non fa segreto della sua speranza ed è manifesto nel ribadire che «se lo merita», e «la gente lo sa» anche se «non me lo daranno mai». Ma, facendo i conti, quanti conflitti ha effettivamente contribuito a fermare (o dice di aver fermato) Donald Trump in questo 2025?
Il tycoon si è preso i meriti di diversi processi di pace dal suo secondo insediamento. Tra questi, il più "pesante" è quello tra Israele e Iran; la cosiddetta "Guerra dei 12 giorni", conclusasi il 24 giugno scorso con un definitivo cessate il fuoco dopo l'intervento in prima persona delle forze statunitensi (l'operazione "Martello di Mezzanotte", ndr.) su tre siti nucleari iraniani.
Ci sono poi l'escalation tra India e Pakistan - entrambe, lo ricordiamo, potenze nucleari - tra aprile e maggio, in cui Trump ha dichiarato che Washington ha avuto un ruolo nel mediare la tregua; l'accordo preliminare di pace sul Nagorno-Karabah tra Armenia e Azerbaigian, con la firma a tre alla Casa Bianca; l'intesa siglata a fine giugno, sempre a Washington, tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, «trionfo glorioso» con contorno di investimenti minerari. Restando in Africa, il tycoon ha messo - in anticipo - il suo marchio anche sulla risoluzione dello stallo diplomatico riguardante la Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo, tra Etiopia ed Egitto. Non una vera guerra, a suo dire però evitata proprio grazie all'intervento a stelle e strisce. Infine, mettiamo nell'elenco anche il cessate il fuoco raggiunto nello Yemen a maggio con gli Houthi, nel frattempo però collassato dopo gli attacchi statunitensi contro la Republica Islamica dell'Iran.
Le grandi sfide, tra Ucraina e Corea del Nord
Un capitolo a parte merita poi la guerra in corso in Ucraina. Scrivere la parola fine di quel conflitto - nelle proverbiali e irrealizzabili 24 ore - era stata una delle sue promesse in campagna elettorale. Detto questo, Donald Trump ha avuto un ruolo di primissimo piano nei tentativi diplomatici di questi mesi. E non sempre andando per il sottile. Il colloquio a margine dei funerali di Papa Francesco, immortalato in quella che pochi minuti dopo era già stata etichettata come la foto dell'anno; il presidente Volodymyr Zelensky "bullizzato" in mondovisione alla Casa Bianca; il tappeto rosso in Alaska per Vladimir Putin dopo gli ultimatum. L'esito? «Fra un paio di settimane» ne sapremo di più.
Infine, un altro fronte su cui Trump si è detto convinto di «poter risolvere il conflitto» - pur non essendoci in corso alcuna guerra dichiarata - relativo alla Corea del Nord. La ripresa dei negoziati per risolvere l'impasse sarebbe sull'agenda dell'Amministrazione americana, forte dei buoni rapporti tra i due leader, confermati anche da Kim Yo-jong, sorella di Kim Jong-un e "voce" della leadership di Pyongyang. Sul tavolo però vi è una questione oltremodo delicata e di cui sopra il 38° parallelo Nord non vogliono neanche sentire parlare: la denuclearizzazione del paese, considerata inaccettabile.