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La magnifica ossessione di Trump: il Nobel per la Pace

Dove nasce questa vera e propria fissazione - e perché è diventata uno strumento usato nei rapporti con il presidente Usa
IMAGO / ABACAPRESS
La magnifica ossessione di Trump: il Nobel per la Pace
Dove nasce questa vera e propria fissazione - e perché è diventata uno strumento usato nei rapporti con il presidente Usa

WASHINGTON - Candidando Donald Trump al premio Nobel per la Pace, Benjamin Netanyahu ha fatto qualcosa di efficace per adulare il presidente degli Stati Uniti. Il primo ministro israeliano ha atteso il momento propizio della sua visita a Washington: l'inizio della cena tra le due delegazioni. «Voglio darti, signor presidente, la lettera che ho inviato al comitato del Nobel. È una candidatura al Nobel per la Pace, ed è meritata» ha detto Netanyahu. Ha colpito nel segno, a giudicare dalla reazione del suo interlocutore: «Wow, grazie, non lo sapevo, grazie. Da parte tua ha un grande valore. Grazie Bibi».

Le candidature più recenti - In realtà, Netanyahu non ha fatto nulla di particolarmente nuovo: nel mondo della diplomazia internazionale è risaputo che, per farsi bello agli occhi di Trump, bisogna tirare in ballo una sua possibile vittoria al Nobel. Lo ha fatto una decina di giorni fa il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi. È il suo "ringraziamento" per la mediazione compiuta dagli Stati Uniti nell'accordo di pace tra Congo e Ruanda. «Se il presidente Trump può mediare e mettere fine a questa guerra, merita il premio Nobel. Sarei il primo a votare per lui», ha dichiarato a una televisione angolana.

Si era parlato di Nobel anche qualche giorno prima, quando il Pakistan aveva parlato del «decisivo intervento diplomatico» di Trump nel fermare il conflitto con l'India (anche se New Delhi aveva negato). Inoltre, l'inquilino della Casa Bianca aveva rivendicato la sua azione nella crisi tra Serbia e Kosovo, tra Egitto ed Etiopia e nella stipula degli Accordi di Abramo. Ma «no, non riceverò un Premio Nobel per la Pace, qualunque cosa faccia» recrimina Trump. E non lo dice da oggi, ma da qualche anno.

La competizione con Obama - Dove nasce quella che appare sempre di più come una vera e propria ossessione? Le radici arrivano fino al 2009 e alla vittoria del premio da parte del suo predecessore alla Casa Bianca, Barack Obama. All'epoca il tycoon non pensava affatto alla politica ma, una volta sceso in campo, ha sviluppato un fiero senso della competizione con l'esponente democratico. E non ha mai accettato quella vittoria: nel 2019 affermò che avrebbe dovuto ricevere il Nobel «per molte cose, se lo avessero assegnato in modo equo – cosa che non è accaduta. Ne hanno assegnato uno a Obama subito dopo la sua ascesa alla presidenza e lui non aveva idea del perché lo avesse ricevuto. ... Era l'unica cosa su cui ero d'accordo con lui».

I precedenti - Nel 2020 erano giunte le candidature formali da parte del parlamentare norvegese Christian Tybring-Gjedde e del suo collega brasiliano Eduardo Bolsonaro. «In due settimane, il presidente Trump è stato responsabile di due obiettivi di pace: tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, nonché tra Israele e Bahrein» dichiarò il figlio dell'allora presidente. Ma per quell'anno non ne ottenne nulla. Anzi: recriminò sonoramente l'assegnazione del premio al primo ministro etiope Abiy Ahmed, avvenuta l'anno prima.

Con il ritorno alla Casa Bianca, è ripartita l'operazione "candidare per ottenere qualcosa". Ci ha provato il deputato ucraino Oleksandr Merezhko, per poi fare marcia indietro vedendo che Trump non era così favorevole alla causa di Kiev. Nel corso degli anni l'hanno fatto anche svariati deputati e senatori Usa, desiderosi di assicurarsi il suo (spesso decisivo) endorsement. Un esempio è quello della newyorchese Claudia Tenney, che lo propose proprio per gli Accordi di Abramo. Anche la professoressa israeliana Anat Alon-Beck ritiene che «ottenere il rilascio degli ostaggi, opporre resistenza all'antisemitismo e promuovere accordi storici che portano stabilità alle regioni più instabili del mondo» siano le ragioni per cui Trump «ha dimostrato ancora una volta di essere un meritevole beneficiario».

Fare davvero parte dell'élite - Sembra che al tycoon non basti essere arrivato per due volte allo Studio Ovale: brama un riconoscimento da parte delle élite internazionali che lo eleverebbe dallo status di "parvenu" della politica. Inoltre servirebbe per rafforzare la sua retorica di leader che non provoca le guerre, ma le fa cessare grazie alla sua mediazione.

In concreto, quali sono le possibilità di vittoria di Trump? Potrebbe accadere in caso di una vera pace tra Russia e Ucraina con il suo decisivo intervento. Un'eventualità che, oggi, appare molto remota. Sui giurati di Oslo peserà senz'altro l'attacco lanciato dagli Stati Uniti contro il sistema nucleare iraniano.

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