Franco Svizzero a ridosso dei top contro Dollaro. Pregi e rischi


La crisi del Dollaro Usa, che sembra aver progressivamente perso l'appeal di bene rifugio dopo i molteplici "tira e molla" del presidente Trump sui dazi all'import di beni negli States alle altre diverse boutade del Tycoon, ha visto come protagonista anche il Franco svizzero. La divisa elvetica si è infatti rivalutata nel corso degli ultimi mesi nei confronti del Biglietto Verde, tanto che il cambio Dollaro/Franco (USD/CHF) è tornato a sfiorare i minimi dell'agosto del 2011 (non considerando i livelli toccati nell'intraday), quando i corsi avevano toccato quota 0,78.
Andamento del cambio tra Dollaro e Franco Svizzero (USD/CHF) nel lungo termine – Fonte Investing.com _ Grafico tasso di cambio USD/CHF dal 5 gennaio 1971 al 7 gennaio 2025
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Quali differenze rispetto al 2011?
Sebbene oggi la discesa sia notevole, resta ancora al di sopra dei livelli di minimo storici segnati nel corso del 2011 (0,728). Tuttavia, il momento è prezioso per riflettere sulle dinamiche in atto.
A cominciare dal sentiment avverso sul Dollaro che, come accadde 14 anni orsono, accusò un deciso calo riflettendo il timore degli investitori (istituzionali e non) verso economie ad alto debito e dinamiche macroeconomiche difficili. Quasi in parallelo con l'oro poi la divisa elvetica si conferma un ancoraggio sicuro dall'incertezza e dalla volatilità (effettiva e stimata) dei mercati finanziari.
Non ultimo, il trend dell'USD/CHF riflette condizioni monetarie divergenti con un differenziale tra i tassi decisi dalla Federal Reserve (la banca Centrale americana) e quelli della Bns, la Banca Nazionale Svizzera, che amplifica i movimenti valutari. E il Franco, con tassi di recente azzerati e politiche tendenzialmente accomodanti in Europa, resta il favorito contro un Dollaro ancora gravato da tassi ancora al 4,25%–4,50 per cento.
Impatti e rischi per l’economia
Se per quanti (frontalieri compresi) hanno Franchi in portafoglio questo scenario è premiante, su fronte macro un Franco troppo forte rende le esportazioni svizzere più costose, penalizza le importazioni negli Stati Uniti e, di conseguenza, influenza negativamente l’industria manifatturiera domestica.
Il primo effetto visibile è immediato: i prodotti svizzeri diventano più cari all’estero. Che si tratti di orologi di lusso, farmaci, macchine utensili o cioccolato, chi compra dall’estero deve pagare in euro o dollari un prezzo più alto, perché il cambio è sfavorevole. Per fare un esempio semplicistico, un orologio che costava 10.000 euro può facilmente salire a 11.000, anche se il produttore in Svizzera non ha alzato il prezzo in franchi. Risultato? Il consumatore può orientarsi altrove, magari verso prodotti non svizzeri.
E questo vale non solo per il cliente privato, ma soprattutto per le grandi commesse industriali. Settori come quello farmaceutico, della meccanica di precisione o dell’ingegneria ferroviaria – colonne portanti dell’export svizzero – si ritrovano a combattere una battaglia di prezzo sempre più difficile.
Meno ricavi, stessi costi
C’è poi l’effetto invisibile, ma altrettanto dannoso: i ricavi esteri valgono meno in Franchi. Un’azienda che esporta in dollari o in euro incassa la stessa somma, ma una volta convertita in franchi quei ricavi si riducono sensibilmente. In pratica, si lavora come prima, si vende come prima, ma si guadagna meno. E in un sistema ad alta precisione, dove ogni centesimo conta, questo può fare la differenza tra un bilancio in attivo e uno in rosso.
Rischio delocalizzazione e potenziali effetti sull'occupazione
Quando il cambio penalizza l’export, molte imprese svizzere iniziano a fare i conti con i costi. Se produrre in Svizzera diventa troppo caro, la tentazione di spostare la produzione all’estero torna ad affacciarsi. Negli ultimi anni, numerose aziende hanno già trasferito parte delle operazioni nei paesi confinanti, dove i costi sono più bassi e il cambio è più favorevole. Il rischio è che un franco troppo forte accompagni silenziosamente un lento processo di dislocazione industriale.
Pressioni anche sull’occupazione
A rimetterci, indirettamente, possono essere anche i lavoratori. Meno competitività significa meno ordini, meno fatturato, e quindi più prudenza negli investimenti e nelle assunzioni. In casi estremi, le aziende possono dover tagliare posti di lavoro o ricorrere al lavoro ridotto, come già accaduto in passato durante i momenti di picco valutario.
Conclusione
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