Svizzera ed Europa, la via bilaterale alla prova del futuro


In un recente evento organizzato da Camera di Commercio Cantone Ticino, Economiesuisse e dall'Associazione svizzera di politica estera, davanti a un pubblico di politici, imprenditori e cittadini, il consigliere federale Ignazio Cassis ha affrontato uno dei temi più delicati e strategici per la Svizzera: il futuro delle relazioni con l’Unione Europea.
Cassis ha ricordato che la Svizzera vive “al centro dell’Europa, circondata da Paesi membri dell’UE con i quali commerciamo, lavoriamo, studiamo, scambiamo cultura”. Un legame che non è mai stato un semplice fatto geografico, ma la base della prosperità elvetica. Oltre la metà delle esportazioni svizzere, pari a circa 300 miliardi di franchi l’anno, finisce nel mercato unico europeo. Significa che, in media, ogni due ore tra Berna e Bruxelles transitano merci per 70 milioni di franchi. “Per ogni moneta da due franchi che teniamo in tasca, cinquanta centesimi dipendono dall’Europa”, ha osservato Cassis con un’immagine efficace.
Dalla svolta del 1992 al bivio di oggi
Il consigliere federale ha poi voluto ricordare una tappa cruciale: il referendum del 1992, quando gli svizzeri dissero “no” all’adesione allo Spazio economico europeo. Quella decisione costrinse Berna a inventarsi un percorso alternativo, la cosiddetta “via bilaterale”: una serie di accordi settoriali con l’UE, costruiti passo dopo passo, che hanno permesso di garantire l’accesso selettivo al mercato unico senza aderirvi formalmente.
Per trent’anni questa formula ha funzionato, offrendo flessibilità e benefici concreti. Ma oggi, avverte Cassis, il tempo gioca contro la Svizzera: “Mentre l’UE aggiorna continuamente le regole del suo mercato interno, i nostri accordi restano fermi. Se non facciamo nulla, la via bilaterale è destinata ad esaurirsi”.
Il nuovo pacchetto di accordi
Per questo, lo scorso giugno, il Consiglio federale ha approvato un nuovo pacchetto negoziale con l’UE, ora in consultazione fino a fine ottobre. L’obiettivo è chiaro: dare stabilità e prevedibilità alle relazioni, evitare che la Svizzera resti ai margini del mercato più grande del mondo, quello europeo, con i suoi 450 milioni di consumatori e oltre 16 mila miliardi di euro di ricchezza prodotta.
Il pacchetto introduce novità significative. Tra le più importanti ci sono un accordo sull’energia elettrica, che dovrebbe rafforzare la sicurezza di approvvigionamento in tempi di crisi geopolitiche, e un’intesa sulla salute e la sicurezza alimentare. Si amplia inoltre la cooperazione scientifica con la possibilità di partecipare pienamente a programmi come *Horizon Europe* e *Digital Europe*, fondamentali per università e start-up.
Restano capisaldi come la protezione dei salari, con clausole precise per evitare concorrenza sleale, e una clausola di salvaguardia sulla migrazione, da attivare in caso di difficoltà economiche o sociali. Sul fronte istituzionale, il pacchetto prevede un tribunale arbitrale indipendente per la risoluzione delle controversie, evitando soluzioni politiche incerte. E soprattutto – insiste Cassis – nulla cambia per la democrazia diretta: ogni decisione dovrà sempre passare per parlamento e, se necessario, per il voto popolare.
I nodi ancora irrisolti
Nonostante gli elementi positivi, i punti critici non mancano. Da anni, Bruxelles chiede un quadro istituzionale più chiaro, che armonizzi la miriade di accordi bilaterali. Il famoso accordo quadro istituzionale (abbandonato dalla Svizzera nel 2021) resta una ferita aperta: per l’UE sarebbe la soluzione ottimale, per Berna un rischio di perdita di sovranità.
Il nuovo pacchetto cerca un compromesso, introducendo una “ripresa dinamica” del diritto europeo solo nei settori interessati. Ma qui si annida una delle questioni più delicate: quanto può la Svizzera accettare regole decise altrove senza partecipare ai processi legislativi?
C’è poi il timore dei sindacati, che chiedono garanzie forti sulla protezione dei salari, soprattutto nelle regioni di frontiera. Il Ticino conosce bene la sfida: decine di migliaia di frontalieri entrano ogni giorno nel cantone, contribuendo all’economia ma alimentando tensioni sul mercato del lavoro.
Infine, rimane l’incognita politica: il pacchetto dovrà passare dal parlamento e potrebbe finire alle urne. Una bocciatura o un rinvio rischierebbero di indebolire la posizione della Svizzera e creare nuove frizioni con Bruxelles.
Uno sguardo oltre i confini svizzeri
La partita si gioca anche in un contesto internazionale instabile. Guerre, blocchi commerciali e rivalità tra potenze ridisegnano gli equilibri globali. Per Cassis, la Svizzera non può illudersi di farcela da sola: “Stabilizzare le relazioni con l’UE non è un capriccio politico, ma puro buon senso. È un passo strategico per garantire non solo la nostra prosperità, ma anche la nostra sicurezza in un mondo instabile”.
Gli Stati Uniti e la Cina restano partner importanti, ma i numeri parlano chiaro: gli scambi con Washington rappresentano circa un quinto di quelli con l’UE; con Pechino appena un decimo. Geografia e interdipendenza economica non lasciano molte alternative.
Tra sovranità e interdipendenza
Il cuore del dibattito è proprio qui: come conciliare l’indipendenza politica con una forte integrazione economica. Cassis respinge l’idea che il pacchetto riduca la sovranità svizzera: “Il nuovo pacchetto non limita la nostra indipendenza. Al contrario, la consolida, perché solo chi è solido può restare davvero sovrano”.
Resta però da vedere se l’opinione pubblica percepirà questo equilibrio allo stesso modo. La democrazia diretta, pilastro dell’identità svizzera, renderà il percorso più lungo e complesso, ma anche più legittimato.
"Regolare le vele"
Cassis ha concluso con un’immagine marina: “Il mondo è in tempesta, e non possiamo fermare il vento. Ma possiamo regolare le vele: con rapporti solidi con i nostri vicini, la Svizzera resta padrona del proprio viaggio”. È un messaggio che va oltre i tecnicismi giuridici e tocca la sensibilità politica dei cittadini: il futuro della via bilaterale non è solo un tema da addetti ai lavori, ma riguarda studenti, lavoratori, ricercatori, famiglie. Perché il legame con l’Europa, che piaccia o meno, rimane la spina dorsale dell’economia e della sicurezza elvetica.
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