Quanto è davvero sostenibile la Svizzera?

Crescita economica e sostenibilità possono essere conciliate? Siamo troppo ricchi per vivere in modo sostenibile? E cosa può fare ognuno di noi per promuovere la sostenibilità? Thomas Beschorner, professore di etica aziendale all’Università di San Gallo, risponde alle nostre domande in questa intervista.
IN BREVE:
- Thomas Beschorner è professore di etica aziendale all’Università di San Gallo. In questa intervista ci spiega come l’economia svizzera può diventare più sostenibile.
- « Per quanto riguarda l’ecologia, nel confronto internazionale la Svizzera sembra messa davvero bene », spiega Beschorner. Tuttavia: «Per sostenere la nostra economia in Svizzera sarebbero necessari due pianeti.»
- Sulla strada verso una maggiore sostenibilità opta per la strategia del bastone e della carota: «La carota sono gli incentivi per le aziende verso una gestione sostenibile come ad esempio le sovvenzioni, gli sgravi fiscali o una posizione privilegiata per mandati da parte degli enti pubblici.»
- Tutti noi dovremmo impegnarci per la sostenibilità: «Ogni persona, ogni impresa, ogni organizzazione ha una sua ‘Sphere of Influence’», spiega Beschorner. «Tutti possono e devono agire se hanno a cuore il futuro del mondo.»
Signor Beschorner, se guardiamo le cifre più rilevanti, l’economia svizzera è ecologicamente sostenibile?
Prof. dr. Thomas Beschorner: Per quanto riguarda l’ecologia, nel confronto internazionale la Svizzera sembra messa davvero bene. Un gruppo di ricerca della Yale University analizza ogni anno la performance ecologica dei vari Paesi del mondo. Nel 2024 la Svizzera si è aggiudicata un ottimo nono posto.
Tuttavia nemmeno la Svizzera può dirsi a buon punto per quanto riguarda il raggiungimento dell’obiettivo degli 1,5 gradi.
Nel paese dei ciechi un guercio è re. Per sostenere la nostra economia in Svizzera sarebbero necessari due pianeti. Ogni anno, più o meno alla fine di luglio, dovremmo spegnere completamente tutte le luci della Svizzera per essere davvero sostenibili.
È davvero rilevante che la piccola Svizzera riesca a raggiungere gli obiettivi climatici?
Secondo questa logica, i contribuenti dovrebbero smettere di pagare le tasse in Svizzera poiché quello che pagano è solo una briciola del volume totale delle entrate fiscali del Paese.
A chi tocca avviare il processo verso una maggiore sostenibilità? Come osservatori, sembra sempre che per quanto riguarda la protezione ambientale tutti attribuiscano la responsabilità a qualcun altro.
Condivido questa osservazione: alcuni scaricano la responsabilità sulle imprese, le imprese scaricano la responsabilità sui consumatori. I consumatori dicono che è la politica svizzera ad essere responsabile. E la politica svizzera dice che è la politica globale a dover agire per prima. La verità è che si tratta di una responsabilità collettiva e ciò significa che occorre mettere in atto dinamiche appropriate tra gli attori menzionati per promuovere uno sviluppo sostenibile.
Nel 2024, un’indagine di BAK Economics è giunta alla conclusione che dal punto di vista strategico le imprese svizzere sono a buon punto ma da quello operativo c’è ancora molta strada da fare. Quanta di questa buona volontà da parte delle imprese è semplicemente greenwashing? Quanto invece è uno sforzo reale?
Non è una domanda a cui si può dare una risposta generale. Riconoscere l’importanza di questo tema è essenziale ma naturalmente occorre fare anche il passo successivo: l’attuazione nella pratica in tutti i settori dell’impresa. L’obiettivo dello studio menzionato sono le PMI che generalmente non sono proprio al passo sul tema se pensiamo ad esempio che in circa ¾ delle PMI svizzere non c’è una persona responsabile della sostenibilità.
Qual è il mezzo più efficace per colmare il divario tra la buona volontà e la messa in pratica?
Il mio consiglio è puntare su bastone e carota. La carota sono gli incentivi per le aziende verso una gestione sostenibile come ad esempio le sovvenzioni, gli sgravi fiscali o una posizione privilegiata per mandati da parte degli enti pubblici. Il bastone sono i rispettivi incentivi negativi, come ad esempio una tassazione ad hoc per beni e servizi che sono dannosi per la sostenibilità.
Secondo il WWF, l’impronta ecologica dei cittadini svizzeri ammonta a 13,51 tonnellate di CO2-equivalenti all’anno. Quindi decisamente troppo elevata. L’impronta ecologica diminuisce drasticamente quanto si rimuove il consumo. La domanda è quindi scontata: abbiamo troppi soldi da spendere?
Tendenzialmente si può dire che più un Paese è ricco, più contribuisce alla distruzione del nostro Pianeta. La tendenza è riscontrabile anche a livello individuale: chi se lo può permettere compra ogni anno un nuovo smartphone o, come superricco, viaggia in jet privato per fare shopping a New York.
Se un maggior consumo significa un maggiore impatto ambientale, in che misura la crescita economica e la sostenbilità ecologica possono davvero essere conciliate?
La crescita economica e la sostenibilità ecologica non sono conciliabili. Le chiacchiere sulla Green Growth mi sembrano semplicemente un contentino neoliberale all’acqua di rose come tanti altri slogan di questa filosofia che sembra un paese delle meraviglie del win-win. L’impegno non deve essere doloroso ma non possiamo evitare di sconvolgere alcuni valori fondamentali.
Fingiamo per un momento che tutto venga prodotto nel quadro di un’economia circolare: potremmo continuare a consumare allo stesso ritmo?
A nessuno piace sentirlo ma dobbiamo modificare le nostre abitudini di consumo se vogliamo vivere in un mondo che sia veramente sostenibile. L’idea della Circular Economy non è sbagliata di principio ma non risolve il problema alla radice: cerca di attuare una mediocre ottimizzazione all’interno del sistema capitalista senza affrontare il sistema stesso con un approccio fondamentalmente diverso.
Qual è la leva più importante per tutti noi per contribuire a un’economia sostenibile?
Ogni persona, ogni impresa, ogni organizzazione ha una sua «Sphere of Influence» per dare il proprio contributo allo sviluppo sostenibile. Può trattarsi del consumo individuale, del lavoro degli insegnanti nelle scuole o dell’influsso sui fornitori, sui partner con cui collaboriamo o sulla politica. Tutti possono e devono agire se hanno a cuore il futuro del mondo.
E cosa fa Lei per contribuire a questo futuro?
I miei modesti compiti includono aiutare a mettere ordine tra i pensieri e soprattutto il fatto di mettere in discussione i modi di pensare cementificati. Quando di tanto in tanto riesco a far ragionare qualcuno fuori dall‘ordinario, so di aver fatto il mio lavoro. È un dato di fatto: solo ragionando diversamente nasceranno nuove idee!