La scure di Trump e lo spettro di Katrina

Un bilancio a 20 anni dalla catastrofe che ha segnato New Orleans.
Sono passati 20 anni dal giorno in cui l'uragano Katrina si è abbattuto sulle coste meridionali degli Stati Uniti, provocando la morte di oltre 1800 persone e danni alle infrastrutture per 200 miliardi di dollari. Particolarmente colpite sono state la Louisiana e New Orleans, diventata il teatro di uno spettacolo raccapricciante, con decine di migliaia di cittadini costretti ad abbandonare le proprie case allagate e cercare rifugio nei grandi edifici cittadini, come il Superdome, dove migliaia di persone si erano ammassate in attesa dei soccorsi, da molti ritenuti insufficienti e giunti troppo tardi.

In quel periodo, lo ricordiamo, l'amministrazione Bush era alle prese con il suo «nemico invisibile», come lo aveva definito lo stesso presidente americano George W. Bush in diretta televisiva, la sera in cui aveva annunciato l'imminente dispiegamento dell'esercito statunitense in Afghanistan, con l'intento di vendicare l'attentato alle Torri Gemelle del 2001. Gran parte dei fondi destinati all'Agenzia Federale per la Gestione delle Emergenze (FEMA), infatti, erano stati dirottati dalla Casa Bianca alla lotta contro il terrorismo, malgrado le critiche e il malcontento instauratosi nella capitale nei confronti di uno sforzo bellico che, come annunciava il termine utilizzato da Bush Jr., avrebbe richiesto la totale attenzione dell'apparato di Stato statunitense, a causa del carattere "elusivo" del nemico. Come ricordano bene i media statunitensi, che a distanza di 20 anni sono tornati sulla questione, infatti, molti dirigenti della FEMA erano stati licenziati e nuovamente assunti in agenzie dedite alla lotta al terrorismo, e avevano così contribuito al deterioramento delle capacità operative dell'agenzia, che si era trovata senza fondi al momento in cui Katrina ha bussato alle porte di New Orleans, il 29 agosto 2005.

Oggi, sono in molti a denunciare il pericoloso parallelismo con quel capitolo della storia americana. La recente creazione del Dipartimento per l'Efficienza del Governo (DOGE) e il conseguente taglio dei finanziamenti destinati alla ricerca, alla sanità e alla sicurezza sociale, con la scure di Donald Trump scagliatasi sulle agenzie a lui "antipatiche" o definite "inutili", hanno colpito anche la gestione delle emergenze climatiche, e in particolare la FEMA, che si trova ora in una situazione di rinnovata incapacità. Di recente, un gruppo di 181 impiegati ha scritto al Congresso americano, dichiarando: «Il nostro impegno verso il nostro Paese, i nostri giuramenti d'ufficio e la nostra missione di aiutare le persone prima, durante e dopo i disastri ci impongono di avvertire il Congresso e il popolo americano delle conseguenze delle decisioni prese dall'attuale amministrazione», denunciando la chiusura di uffici, il licenziamento di figure dirigenziali e la perdita di finanziamenti destinati alle operazioni di soccorso, concludendo di essere «completamente impreparati» a gestire un disastro climatico come quello di Katrina.

Da mesi l'amministrazione di Washington tenta di deresponsabilizzarsi in materia di gestione delle emergenze climatiche, soprattutto il presidente Trump, secondo cui sarebbero le municipalità e i singoli Stati a doversi assumere l’onere di soccorrere i civili, anche se, storicamente, è sempre stata l’amministrazione federale a occuparsene. «Se non sono in grado, non dovrebbero essere governatori», aveva dichiarato Trump in una recente intervista televisiva. Durante la prossima emergenza, come lo sono state le alluvioni in Texas, che lo scorso luglio hanno causato la morte di 120 persone, la FEMA potrebbe non essere in grado di coordinare le operazioni di soccorso. E come è successo 20 anni fa, anche a causa del disinteresse della Casa Bianca, saranno le persone vulnerabili a pagarne le conseguenze.
Appendice 1
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