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Costretti a lavorare come schiavi per Volkswagen

La decisione di una corte brasiliana riapre il dibattito sul lato oscuro del colosso automobilistico tedesco. Ripercorriamo la sua storia controversa.
La decisione di una corte brasiliana riapre il dibattito sul lato oscuro del colosso automobilistico tedesco. Ripercorriamo la sua storia controversa.

La Volkswagen si è resa responsabile di danni morali collettivi per aver ridotto in schiavitù dei lavoratori brasiliani tra gli anni Settanta ed Ottanta. Lo ha stabilito, lo scorso fine agosto, il Tribunale del lavoro brasiliano che ha condannato la nota casa automobilistica tedesca a pagare un risarcimento danni di trenta milioni di dollari.

Secondo quanto stabilito dal tribunale, infatti, la Volkswagen avrebbe sfruttato la mano d'opera di alcune centinaia di lavoratori in una fattoria/ranch di proprietà dell'azienda nello Stato di Pará, in Amazzonia, riducendoli «in condizioni simili a quella di schiavi», come scritto da Abc News, per oltre un decennio tra il 1974 ed il 1986.

L'indagine è stata avviata dal procuratore del lavoro nel 2019 che, dopo aver raccolto un'ampia documentazione in merito a tale vicenda da Ricardo Renzede, all'epoca parroco della zona e impiegato nella Patoral Land Commission della Chiesa brasiliana, ha formulato una formale accusa nei confronti della casa automobilistica nel 2024.

Imago/Sven SimonUn'operaia brasiliana negli stabilimenti di Volkswagen, in una foto degli anni '70.

In centinaia, come schiavi

Secondo i documenti depositati in tribunale, circa trecento lavoratori, assunti con contratti irregolari, sarebbero stati sfruttati per disboscare la zona e preparare i pascoli vivendo, controllati da guardie armate, in alloggi precari, senza assistenza medica e ricevendo delle porzioni di cibo assolutamente insufficienti. Secondo quanto riferito dal procuratore del lavoro «queste pratiche hanno costituito uno dei più grandi casi di sfruttamento del lavoro degli schiavi nella storia recente del Brasile»

«La schiavitù è un “passato presente” perché i suoi segni rimangono nella società brasiliana, specialmente nei rapporti di lavoro» ha dichiarato il giudice Otavio Bruno da Silva Ferreira secondo il quale «l'eredità del sistema di schiavitù coloniale del Brasile continua a plasmare le strutture sociali» rendendo necessario un recupero di questa memoria storica per comprendere al meglio la realtà attuale del Paese.

La sede brasiliana della Volkswagen, dal canto suo, ha rimarcato il fatto che la società, nei suoi anni di attività in Brasile, «ha difeso coerentemente i principi della dignità umana e rigorosamente rispettato tutte le leggi e i regolamenti sul lavoro applicabili» ribadendo «il suo incrollabile impegno per la responsabilità sociale, che è intrinsecamente legata alla sua condotta come persona giuridica e datore di lavoro».

La società automobilistica tedesca ha annunciato che appellerà la sentenza sostenendo di non essere la proprietaria legale della fabbrica incriminata, anche se dai documenti depositati in tribunale risulta che, in diverse occasioni, si sia dichiarata tale per ricevere dei finanziamenti governativi.

Imago/TTPorsche mostra il Maggiolino ad Adolf Hitler, in una foto del 1938.

L'azienda voluta dal Reich

Anche lo scorso anno la Volkswagen si è confermata la seconda società costruttrice di automobili a livello globale, dietro solo alla Toyota, ma con il fatturato più alto in assoluto. Pur con un calo rispetto agli anni precedenti, il Gruppo Volkswagen ha prodotto nel 2024 9,2 milioni di veicoli fatturando 348.5 miliardi di dollari e confermandosi una della maggiori case automobilistiche a livello globale.

Una storia costellata di successi quella della società tedesca ma caratterizzata anche da alcuni punti oscuri e scandali, non ultimo quello appena esaminato. La Volkswagen, letteralmente 'vettura del popolo' è stata fondata per volere di Adolf Hitler dall'organizzazione sindacale nazista Deutsche Arbeitsfront, e della sua realizzazione venne incaricato l'ingegnere Ferdinand Porsche, titolare dell'omonimo studio di progettazione.

Nel 1938, oltre 336 mila persone si iscrissero al piano di risparmio mensile per poter acquistare un automobile che, nei progetti di Hitler, doveva essere economica e in grado di trasportare due adulti e tre bambini. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la realizzazione di automobili civili cessò per essere convertita nella produzione di veicoli militari impiegando, così come d'uso nelle imprese tedesche dell'epoca, manodopera proveniente dai vicini campi di concentramento.

Imago/TTSempre Porsche con Hitler, nel giorno del suo 50esimo compleanno, nel 1939.

Il controverso legame con Hitler e i campi di sterminio

Nel 1996, uno studio finanziato dalla stessa Volkswagen, e affidato allo storico Hans Mommsen, fece definitivamente luce, dopo quasi un decennio di ricerche, sullo sfruttamento schiavistico della casa produttrice tedesca a danno di prigionieri sovietici ed ebrei provenienti dai campi di sterminio di Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen al fine di costruire automobili e armamenti durante il secondo conflitto mondiale.

Come spiegato all'epoca dal Wall Street Journal, se fino allo studio di Mommsen si era pensato che i rapporti tra i fondatori della Volkswagen e il regime nazista fosse di sostanziale indifferenza, dalle oltre mille pagine del rapporto emerge come la società tedesca «non solo seguì gli ordini di Hitler ma, in certi casi, di quegli ordini avesse preparato la brutta copia».

Del fondatore della Volkswagen, Ferdinand Porsche, membro del partito nazista, venne detto che fosse «moralmente indifferente» alla drammatica situazione dei suoi lavoratori schiavi, molti dei quali vennero picchiati e costretti a lavorare fino a morirne.

Imago/Sven SimonUn furgoncino Volkswagen in produzione presso gli stabilimenti brasiliani del colosso tedesco, negli anni '80.

Nell'occhio dell'antitrust internazionale

Terminata la guerra, la Volkswagen passò sotto il controllo inglese e, grazie all'intervento dell'ufficiale britannico Ivan Hirst, venne ripristinata la produzione di automobili civili, prima per l'esercito inglese e successivamente, una volta ritornata sotto il controllo tedesco nel 1949, allargando la sua produzione grazie all'opera del manager Heinrich Nordoff.

La Volkswagen fece la sua fortuna con la produzione del Maggiolino e, negli anni Settanta, con tanti altri modelli di successo tra cui la Golf e la Polo. Nel 1998, la società tedesca iniziò una campagna di acquisizione delle maggiori case produttrici di auto di lusso, tra le quali la britannica Bentley, la francese Bugatti e l'italiana Lamborghini

Nel 2005, la Volkswagen dovette affrontare la Commissione europea che aveva deferito la Germania alla Corte di Giustizia europea a causa della cosiddetta 'Legge Volkswagen' che impediva a qualsiasi azionista di detenere più del 20% dei diritti di voto nell'azienda. Tale legge risale al 1960 ed era stata varata per poter garantire allo Stato della Bassa Sassonia, dove era stata costruita la sede centrale, e il governo federale tedesco un controllo speciale nei confronti dell'azienda stessa.

Secondo la Commissione europea, invece, tale legislazione impediva illegalmente l'afflusso di capitali in Europa. Nel 2007 la Corte di Giustizia dell'Ue condannò la Germania che fu costretta a rivedere tale legislazione per adeguarla alle normative europee. Nel 2013, la Germania, a seguito delle modifiche apportate, vinse la propria battaglia legale nei confronti dell'Unione europea, e venne stabilito che per le decisioni importanti fosse necessaria una maggioranza dell'80% di tutti i suoi azionisti.

IMAGO / Michael KristenUna vettura diesel di Volkswagen.

Lo scandalo emissioni

Nel 2015, un nuovo scandalo travolse la Volkswagen che fu costretta ad ammettere di aver truccato i test sulle emissioni di gas negli Stati Uniti. Secondo l'Environmental Protection Agency, l'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, nei motori diesel di migliaia di automobili erano stati inseriti dei dispositivi, denominati 'defeat device', in grado di rilevare quando venivano testati di modo da poter migliorare i risultati dei test.

In pratica, tali motori diesel erano in grado di attivare dei sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test in modo tale che le emissioni di ossido di azoto dei veicoli rientrasse nei limiti prescritti dalla legislazione americana. Secondo l'Epa ben 482 mila automobili solo negli Stati Uniti erano state dotate di tali software, ma la Volkswagen ha dovuto poi ammettere, come riferito dalla Bbc, che circa 11 milioni di auto in tutto il mondo, e numerose migliaia anche in Europa, fossero state dotate dei cosiddetti 'defeat device'.

A seguito di tale scandalo, la Volkswagen registrò delle pesanti perdite in borsa e l'amministratore delegato Mark Winterkorn fu costretto a dimettersi nel settembre del 2015. Nel 2017, invece, venne arrestato in Florida Oliver Schmidt, dirigente della Volkswagen negli Stati Uniti. A causa di tale vicenda la casa automobilistica tedesca è stata condannata a pagare multe milionarie e sono state intraprese numerose class action a suo danno.


Appendice 1

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Imago/Sven SimonUn'operaia brasiliana negli stabilimenti di Volkswagen, in una foto degli anni '70.

Imago/Sven SimonUn furgoncino Volkswagen in produzione presso gli stabilimenti brasiliani del colosso tedesco, negli anni '80.

Imago/Sven Simon

Imago/TTPorsche mostra il Maggiolino ad Adolf Hitler, in una foto del 1938.

Imago/TTSempre Porsche con Hitler, nel giorno del suo 50esimo compleanno, nel 1939.

Imago/PhototekUn

IMAGO / Michael KristenUna vettura diesel di Volkswagen.

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