Cosa si nasconde dietro la pubblicità delle polemiche con l'attrice Sydney Sweeney?

Lo spot sui jeans (o 'geni') di Sydney Sweeney divide l’opinione pubblica tra accuse di razzismo, difesa trumpiana e boom di vendite.
«I geni vengono trasmessi dai genitori ai figli, e determinano caratteristiche come il colore dei capelli, la personalità e il colore degli occhi. I miei jeans sono blu». Lo afferma, ammiccando alla telecamera, l'attrice statunitense Sydney Sweeney prima che una voce fuoricampo confermi che “Sydney Sweeney, ha dei gran bei jeans”, parola che suona molto simili a 'genes', ossia geni. Quindi si potrebbe anche intendere che la Sweeney ha un ottimo patrimonio genetico perché alta, bionda e con gli occhi azzurri.
Provocazione razziale - Parliamo della ormai nota campagna pubblicitaria dell'American Eagle, nota marca di abbigliamento ed accessori a stelle e strisce, finita al centro di infervorate discussioni politiche proprio per l'utilizzo dei termini jeans e genes che a molti è suonato equivoco. Che una bellissima ragazza, dalla carnagione bianca e dagli occhi blu, si vantasse dei suoi ottimi jeans, o geni, è sembrata a molti una provocazione dal sapore razziale, un inneggiare a ciò che molti credono sia una tradizionale bellezza americana in barba ad una società sempre più multietnica e variegata. Il messaggio sotteso alla pubblicità, quindi, sarebbe di tipo discriminatorio, come se l'unica bellezza che vale la pena celebrare sia quella bianca. D'altra parte, in un video pubblicato sulla pagina Instagram del brand, la Sweeney si avvicina ad un cartellone con la scritta 'grandi geni' per sostituirla con la parola 'jeans'. Ad alimentare ancora di più la discussione sulle connotazioni razziste di tale campagna pubblicitaria vi è anche il fatto che la stessa si sposi con un fine sociale: in autunno, infatti, sarà lanciato sul mercato il 'Sydney Jean', un modello con una farfalla ricamata, e i proventi della vendita saranno interamente destinati a Crisi Text Line, una organizzazione no-profit che fornisce supporto psicologico gratuito alle persone con problemi di salute mentale. Tale scelta è apparsa strumentale allo sviare l'attenzione sui proclami di eugenetica contenuti negli spot della Sweeney, dando invece risalto alla nobile causa promossa dalla stessa.

Una ragazza dalla polemica facile - Nata a Spokane, nello stato di Washington, il 12 settembre del 1997, la Sweeney ha esordito giovanissima in serie tv di culto, quale Criminal Minds e Grey's Anatomy, per raggiungere la notorietà con la serie di Hbo Euphoria, The Handmaid's Tale e White Lotus. Tempo fa, aveva raccontato di aver dovuto iniziare a lavorare appena tredicenne, perché priva di una rete di protezione, “nessuno che mi sostenga, nessuno a cui rivolgermi per pagare le mie bollette e chiedere aiuto”. L'attrice ha poi fondato, nel 2020, una sua casa di produzione, la Fifty-Fifty Films, e da anni è testimonial di noti marchi di moda quale Armani Beauty, Kerastase, Guess e Samsung. La Sweeney ha fatto parlare di sé nel 2024 per aver promosso la vendita di una linea di saponi, denominata Sydney's Bathwater Bliss della Dr Squatch, la quale si diceva fosse ricavata dall'acqua del suo bagno. Le saponette sono state vendute online per 8 dollari ciascuna, ed una volta esaurite sono state rivendute su Ebay per un prezzo iniziale di 1.600 dollari. La polemica delle saponette, però, appare ben poca cosa se confrontata con il polverone mediatico suscitata dalla campagna pubblicitaria di cui l'attrice è protagonista.

Una bellezza trumpiana - È cosa nota che la pubblicità mira a catturare l'attenzione del potenziale acquirente con slogan accattivanti e provocatori. Spesso l'allusione è di natura sessuale, mentre, in questo caso, si è voluto giocare in maniera ambigua con la rappresentazione estetica di una classica bellezza caucasica, e ciò è sembrato un rimando alle questioni razziali collegate alla politica trumpiana, così attaccata ai presunti ideali dell'America dei bei tempi andati. Il marchio di moda American Eagle è intervenuta nella polemica per rimarcare che la pubblicità in questione è sempre stata “una campagna sui jeans. I suoi jeans. La sua storia. Continueremo a celebrare il modo in cui ognuno indossa i propri jeans, in sicurezza e a modo suo. Dei jeans fantastici stanno bene a tutti”. Tale tentativo di chiarimento non è andato a buon fine, e la polemica non si è placata dopo l'intervento di American Eagle che, complice la campagna pubblicitaria controversa, ha avuto un notevole incremento delle vendite dei propri prodotti, il 23% in più in una settimana, e del proprio fatturato registrando il miglior risultato dal 2020.

Le critiche - Tra le voci contrarie alla pubblicità dell'American Eagle vi è Sophie Gilbert, giornalista per l'Atlantic e autrice del libro 'Girl on Girl', che ha dichiarato sul Guardian che lo spot di Sydney Sweeney “strizza l'occhio all'ossessione per l'eugenetica che è così importante per la destra moderna”. Le fa eco Sarah Cefai, docente di Studi di genere e culturali alla Goldsmiths University di Londra, che si domanda se “una fantasia suprematista bianca ha il permesso di essere trasmessa in modo così evidente”.
La difesa di Trump - A difesa dell'attrice, invece, è sceso in campo, lo stesso presidente Trump che è apparso abbigliato in jeans 'alla Sweeney' in una foto ritoccata e pubblicata dal figlio Donald Trump Jr. Sul suo profilo Truth, Trump ha esaltato la prestazione dell'attrice, definita “una repubblicana dichiarata con la pubblicità più hot”, e sparato a zero sulla cultura woke, rappresentata dalla cantante Taylor Swift, “fischiata al Super Bowl e non più hot, sexy”. L'attrice, in effetti, risulta registrata come elettrice repubblicana nelle liste elettorali della Florida, anche se ciò non significa per forza che abbia votato per Trump alle ultime elezioni. Il vicepresidente JD Vance aveva dichiarato il proprio apprezzamento per la campagna pubblicitaria di American Eagle, dichiarando che “il mio consiglio politico ai democratici è di continuare a dire a tutti quelli che pensano che Sydney Sweeney sia attraente, che è una nazista”. Steven Chung, responsabile della comunicazione della Casa Bianca, dal canto suo, ha puntato il dito contro “una cancel culture impazzita”. Il prolungato silenzio dell'attrice e produttrice sulla questione ha contribuito ulteriormente a gettare benzina sul fuoco nel mondo dei social media, dove ogni argomento diventa oggetto di discussioni furiose e polarizzanti. Per accusare l'attrice di simpatie Maga è stata rispolverata la festa, data per il sessantesimo compleanno della madre, nella quale gli invitati indossavano delle t-shirt con scritto “Make Sixty Great Again” o “Blue Lives Matter”, che facevano il verso a noti slogan dal sapore politico. La sua registrazione tra le fila degli elettori repubblicani, come detto, è bastato poi per farne un nuovo vessillo della politica trumpiana, in barba al fatto che la mancata conferma da parte della Sweeney del suo orientamento politico riduce tutto questo gran parlare a mere ipotesi.

Provocazione, anima della pubblicità - Forse sarebbe il caso di ridimensionare la portata di tale discussione, ricordando che la pubblicità si nutre naturalmente di polemiche, e quelle dei jeans, capo d'abbigliamento ritenuto ribelle per antonomasia, ne ha prodotte negli anni di veramente provocatorie. Non si può dimenticare, ad esempio, il “Chi mi ama mi segua” o “Non avrai altro jeans all'infuori di me” della campagna pubblicitaria ideata dal genio di Oliviero Toscani per Jesus Jeans, un brand torinese che venne accusato di blasfemia dall'Osservatorio Romano proprio a causa di tali slogan. C'è stata poi Brooke Shields che chiedeva "vuoi sapere cosa c'è tra me e i miei jeans? Niente” o la donna immobilizzata a terra da un gruppo di uomini nella campagna pubblicitaria di Dolce e Gabbana nel 2007, accusata di rendere cool l'idea di uno stupro di gruppo. Nel 2014, i jeans di Alexander Wang erano mollemente adagianti sulle gambe di una nuda Anna Ewers, e in altri scatti la modella li portava slacciati mentre si toccava allusivamente tra le gambe. Lo stesso stilista statunitense ha dichiarato che tale campagna pubblicitaria era stata studiata apposta perché “una volta vista non si potesse smettere di pensarci”. È forse è questo il punto centrale della questione: la pubblicità viene fatta per vendere, e niente fa vendere di più di una campagna pubblicitaria provocatrice e divisoria. Di certo America Eagle ne era consapevole quando ha scelto di giocare con il nervo scoperto negli Stati Uniti della questione razziale, aizzando una polemica furiosa per vendere qualche jeans in più.
Appendice 1
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