Combattere la solitudine... al negozietto di quartiere

In Corea del Sud la solitudine rappresenta una vera emergenza sociosanitaria. La capitale Seoul investe milioni per combatterla.
Da tanto tempo, a Seoul è scoppiata una pericolosa epidemia, e l'agente patogeno è il senso di solitudine che attanaglia un numero impressionante dei suoi abitanti.
Secondo uno studio del 2021 dell'Istituto coreano per la Salute e gli Affari sociali, circa il 3,1% delle persone di età compresa tra i diciannove e i trentanove anni vivono in solitudine, se non recluse dentro alle proprie case. Trecentoquaranta mila persone che vivono sole e di solitudine muoiono, vuoi perché si sono ammalate, vuoi perché hanno scelto volontariamente di porre fine alle proprie sofferenze suicidandosi.

Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute sudcoreano, le morti solitarie - le godoksa in coreano - sono in costante crescita, e sono passate dalle oltre 3'300 nel 2021 alle 3'600 del 2023. L'84% delle morti solitarie registrate nel 2023, come riferito dalla Cnn, sono da riferirsi a uomini di età compresa tra i cinquanta e i sessant'anni, un numero cinque volte maggiore dei decessi femminili. Tale categoria di persone, quindi, è da considerarsi particolarmente vulnerabile e a rischio di isolamento.
Come riferito dal Guardian, che ha dedicato al tema un interessante approfondimento, nella città di Seoul, che ospita quasi dieci milioni di abitanti, le famiglie composte da una sola persona sono passate, «nel giro di vent'anni, dal sedici al quaranta per cento di tutte le case occupate». Un sondaggio del Seoul Institute del 2022 ha rilevato che il 62% di queste persone soffre di solitudine, mentre centotrenta mila giovani residenti nella metropoli sudcoreana soffrono di isolamento sociale. A differenza di altri Paesi, nei quali le persone si sentono sole se non hanno delle relazioni sociali appaganti, nella cultura coreana le persone avvertono un grande senso di solitudine quando non si sentono abbastanza degne di vivere o non hanno uno scopo per cui farlo.
Come dichiarato da An Soo-jung, professore di psicologia all'Università di Myongji, «i sudcoreani possono sentire una profonda solitudine o un senso di fallimento se sentono di non avere un impatto significativo sugli altri o sulla società». Questo, per il professor An, costituisce una grande differenza rispetto a quanto accade negli altri Paesi, perché i sudcoreani possono avere una ricca vita sociale e delle relazioni pubbliche appaganti, ma possono anche sentirsi molto soli «quando si confrontano con gli altri e si chiedono se sono utili, se contribuiscono abbastanza alla società o se sono in ritardo nel fare determinate cose».
Altri fattori di rischio sono rappresentati dal declino delle relazioni sociali e familiari, il dominio dei social media e la cultura competitiva e votata al successo su cui si fonda tale società.

È per tentare di arginare questo stato di cose che il governo di Seoul ha deciso di investire oltre 322 milioni di dollari nel progetto "Seoul senza solitudine", volto a risolvere questa silenziosa ma drammatica epidemia. Come affermato dal sindaco della capitale Oh-Se-hoon «bassi livelli di felicità, alti tassi di suicidio e depressione sono tutti legati alla solitudine (…) La solitudine e l'isolamento non sono solo problemi individuali, ma compiti che la società deve risolvere insieme».
Tra i tanti progetti messi in campo vi sono anche i "mind convenience stores", dei luoghi in cui coloro che si sentono afflitti da solitudine possono gustare un semplice pasto caldo, guardare un film, godersi un massaggio in delle apposite poltrone o semplicemente passare il proprio tempo in compagnia di altre persone senza l'obbligo di dover interagire con le stesse. La convinzione alla base del progetto è che pur in mancanza di interazioni attive, le persone possano comunque trarre conforto dal condividere lo stesso spazio pubblico.

Il nome scelto non è casuale ma è stato pensato appositamente per evitare lo stigma di uno spazio dedicato a chi ha problemi di salute mentale, facendo invece riferimento ai "convenience store", dei piccoli market aperti ventiquattr'ore al giorno dove le persone sono solite recarsi per comprare degli snack, bevande o altri piccoli oggetti di uso comune. A disposizione di chi si reca in questi "market mentali" vi sono anche delle equipe di consulenti pronti a fornire sostegno psicologico. Per ora ne sono stati aperti quattro, ma l'idea è quella di mettere a disposizione della popolazione molti altri di questi spazi comuni.
Il quotidiano britannico ha seguito la giornata tipo di alcuni frequentatori del centro di Dongdaemun, a est di Seoul. Eom Mi-hui, una cinquantatreenne residente nella capitale, si gode una spa ad infrarossi per i piedi: «questo è davvero bello - afferma la donna - il mio corpo non si sente benissimo, quindi penso che la spa per i piedi aiuti». Eom, una delle tante persone che vive da sola e lotta contro dei problemi di salute mentale, ha scoperto l'esistenza del centro attraverso una newsletter distrettuale, rimanendone piacevolmente sorpresa, perché «quando ti senti giù, stare a casa peggiora solo le cose (...) non c'è davvero un posto dove andare, e solo mettersi le scarpe può essere difficile. Ma quando c'è un luogo come questo, penso "ci andrò" e uscire sembra più facile».
Il cinquantunenne Lee-Won-tae ha dichiarato al Guardian che si reca al "mind convenience store" ogni giorno dopo aver fatto la sua consueta passeggiata per alleviare dei problemi alle gambe. Essendo nuovo del quartiere, non ha «molti amici intimi ma cammino molto, e quando vado troppo lontano diventa difficile tornare. Vengo qui, mi prendo una pausa e poi continuo». Come Eom, l'uomo non è interessato a stringere molte amicizie, ma trova conforto nel poter riposare in un posto così comodo e accogliente, in compagnia di persone con le quali ha il piacere di passare del tempo anche senza scambiare molte parole.

Lee In-sook svolge l'attività di volontaria all'interno del centro, convinta che la propria personale esperienza possa essere utile a coloro che lo frequentano. Dopo essersi separata dal marito, dopo venti anni di matrimonio, ed essersi trovata con due figli da crescere nell'incertezza economica, la donna ha vissuto un momento di forte depressione. «Sono diventata impotente e non volevo fare nulla - ha raccontato al Guardian - ma avevo dei figli da crescere e quindi mi sono dovuta rimettere in moto». La via per la guarigione è stata lunga, ma ora riesce ad empatizzare con le esperienze di vita di chi si reca al "market mentale" di Dongdaemun. «Alcune persone vengono qui e non parlano con gli estranei. È normale. Ma gradualmente, man mano che acquisiscono familiarità con lo spazio, iniziano a sentirsi a proprio agio e a condividere il tempo con gli altri».

Il successo del centro è quindi determinato dal fatto che in esso le persone possano entrare in contatto le une con le altre e trarre conforto dalla mera vicinanza fisica. Dello stesso avviso è Yoo-Dong-heon, un assistente sociale che presta il proprio servizio nella medesima struttura. L'uomo racconta di essere rimasto impressionato dalla quantità di richieste di consulenze che ha ricevuto, con un costante aumento dei visitatori giornalieri. «Le persone non provengono solo da Seoul - racconta al Guardian il consulente - ma da molte altre città fuori dalla capitale (...). Questa mattina è arrivato qualcuno che aveva tentato il suicidio più volte, con ferite ancora visibili alle mani. Per persone con questo tipo di problemi vengono subito allertati i servizi sociali».
Il centro di Dongdaemun rappresenta un esempio virtuoso del programma "Seoul No More Loneliness Initiative", adottato dall'amministrazione cittadina per sconfiggere la piaga dell'isolamento sociale e dell'aumento dei tassi di suicidio. Le strategie adottate per frenare questo drammatico fenomeno comprendono anche la creazione di una piattaforma sempre aperta, in cui i cittadini possano cercare aiuto ogni volta se si sentono soli o scoraggiati dall'affrontare le proprie incombenze quotidiane. L'amministrazione di Seoul, inoltre, si sta impegnando per riuscire a individuare tutti coloro che, vivendo da soli, possono essere maggiormente a rischio isolamento, fornendo loro degli incentivi economici, quali sconti o buoni pasto, per incentivare la loro voglia di uscire di casa.
La novità rappresentata da questo progetto è quella di considerare la solitudine e l'isolamento sociale non come una mera condizione privata, ma un problema che riguarda l'intera società. Un cambio di paradigma che andrebbe preso come esempio.
Appendice 1
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